Gli anni settanta

Gli anni settanta si presentarono come un periodo particolarmente difficile. La situazione competitiva si caratterizzava per il rallentamento del tasso di sviluppo economico, accentuato dalla crisi petrolifera del 1973. L’aumento del costo del petrolio innesca lo sviluppo di un processo inflazionistico, che portò alla diminuzione del potere di acquisto, in modo particolare delle classi medie, cioè dei protagonisti del cosiddetto boom economico, che aveva sostenuto la crescita italiana del decennio precedente. La diminuzione della domanda con un conseguente surplus di offerta, generò un aumento della pressione competitiva.

Ogni campagna pubblicitaria deve proporre un solo beneficio per il consumatore, che la concorrenza non offre o non può offrire e che deve essere così forte da spingere all’acquisto milioni di consumatori.

La promessa deve scaturire dai fatti inerenti il prodotto da pubblicizzare.

La pubblicità deve sostenere le vendite facendo preferire il prodotto.

 

Caratteristica delle campagne pubblicitarie di quegli anni fu il messaggio che distoglieva dalla situazione economica evocando immagini che guardano al gioco ed alla spensieratezza come nelle pubblicità della Vespa Piaggio.

 

Chiaro il messaggio che passa attraverso le due prime pubblicità, nella prima  le “Sardomobili” sono le automobili che intrappolano e riducono la possibilità di svago come invece viene evidenziato nella seconda pubblicità.

Poi si deve alla genialità di un giovane studio pubblicitario la LEADER di Firenze l’aver inventato uno slogan che richiamava l’attenzione su tematiche legate alla sfera affettiva dei giovani, l’amoreggiare e la libertà d’innamorarsi.

Quale simbolo raccoglieva in se il senso della trasgressione e dell’amore?

La “MELA”. Per questo il primo manifesto delle nuove campagne dela Vespa richiama questo simbolo, evocando inconsci richiami “sessuali”.

 

A tal proposito veniva associato anche la terminologia VESPARE che era sinonimo di amoreggiare.

Negli stessi anni, che ricordiamoci erano quelli immediatamente dopo la contestazione giovanile e che portarono anche al periodo buio della storia del nostro paese, nasceva nella gente comune, e quindi il grande bacino d’utenza dei prodotti commerciali, un desiderio di tranquillità e serenità.

In questo senso la pubblicità sviluppò un nuovo tipo di comunicazione meno aggressiva, ma più rassicurante.

Nasceva quindi il concetto di casa felice che forse tendeva più a trasmettere il concetto di stabilità sociale ed economica una sorta di isola felice in cui rifugiarsi dall’evoluzione culturale, musicale e sociale che si stava sviluppando nel resto del mondo.

Il prodotto reclamizzato doveva essere conforme a regole precise, doveva rassicurare, ed il campo prescelto fu quello familiare.

E’ in questi anni che nasce la pubblicità della Casa Barilla e del suo nuovo prodotto, nasce Mulino Bianco e si fa strada con più forza il messaggio pubblicitario legato alla genuinità dei prodotti Barilla.

Il nuovo marchio pone ai pubblicitari il problema di come presentare una linea di biscotti e prodotti da forno che sono di qualità media perché destinati al largo consumo. La soluzione viene trovata nel richiamo, piuttosto sentito in quegli anni, ai valori della campagna e della vita semplice. L’idea è talmente riuscita che Mulino Bianco conquista in pochi anni la leadership nel suo settore.

La Barilla quindi fa leva sulla tradizione contro la moderna esaltazione del progresso che rischia di travolgere la società.

 

La forza rassicurante dell’immagine del piccolo mugnaio innamorato che con i prodotti genuini confeziona i biscotti per la sua amata Clementina, sono la base della comunicazione del marchio Mulino bianco che vediamo ancora oggi.

La sua evoluzione è dettata chiaramente dal cambio generazionale ma fu un grande maestro della pubblicità ad inventare lo stereotipo della casa felice del mulino bianco, Armando Testa.

D’altro canto lo stesso Armando Testa, affermava:

“se non avete idee per valorizzare il prodotto, fate innamorare la gente mettendo una bella donna seminuda. Vedrete che tutti si ricorderanno di quello che gli state proponendo”.

Sembra assurdo ma la molteplicità delle informazioni a cui erano soggetti i nuovi consumatori rendevano la comunicazione pubblicitaria piena di mille sfaccettature.

In un periodo storico di cambiamento totale, nella musica nascono i primi gruppi rock a livello mondiale (gruppi di protesta giovanile che vuole staccarsi dalle tradizioni), per le strade si vedono i primi punk importati dall’Inghilterra da quei giovani che avendo avuto la voglia di sperimentare nuove esperienze hanno lasciato le loro case per sperimentare la vita trasgressiva, la psichedelia e la ribellione alle norme istituzionalizzate, in questo contesto nasce una forma d’arte che richiama precisamente i concetti della riproducibilità del prodotto, la creazione dei multipli, la nuova corrente artistica POP ART.

 

A loro più di chiunque altro si deve l’elaborazione grafica e la sperimentazione nella comunicazione.

Profeta di questa corrente fu Andy Warhol che con la riproduzione dell’immagine della zuppa più venduta e conosciuta negli stati uniti lancia questa provocazione.

Fare della sua arte la mercificazione su scala industriale.

Il prodotto non è più per pochi eletti ma tutti possono accedere ai multipli ma allo stesso tempo il soggetto diventa merce.

Nasce la sperimentazione nel campo grafico e musicale.

 

Elaborazione, stilizzazione, riduzione questi sono alcuni dei concetti che sono alla base della ricerca di ogni grafico per creare qualcosa che sia la sintesi trasferibile attraverso la realizzazione di un marchio o logo.

Quando pensate di essere arrivati alla fine e pensate di aver creato qualcosa che rende l’idea del concetto che vuole esprimere chi vi ha commissionato il lavoro, chiedetevi: “questo l’aiuterà ad arrivare ai suoi obiettivi”.

Se non riuscite ad essere certi allora cominciate ad eliminare il superfluo che confonde il messaggio che volete trasmettere.

Grafica significa “segno” non ha bisogno di fronzoli ma di immediata percezione di quello che volete dire.

Pensate alle pitture rupestri dei nostri antenati preistorici, loro non avevano la capacità di scrivere non comunicavano con lettere o slogan, erano persone semplici che con quattro tratti rendevano l’idea immediatamente a chiunque entrasse in contatto con le loro rappresentazioni pittoriche.

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