“Secondo me ci siamo persi.”
Lo disse a denti stretti, spaventatissima, a denti stretti e mascella tremante. Ale era così, si cagava
addosso per tutto e non riusciva a non darlo a vedere.
“Smettila! Non ci siamo persi. Vedi - via Alighieri - c’è il cartello, ora giriamo a destra e siamo arrivati.” Lello invece se la faceva sotto più modestamente e lo mascherava con tenacia.
Quel brivido lungo la schiena, caldo e freddo, che sentiva lo riassorbiva col pensiero, positivo, sempre positivo. Come gli insegnava il suo adorato Lorenzo che quella sera oltre ad aspettarli sul palco di Piazzola, li avvolgeva pure nell’abitacolo della vecchia Golf scassata che Lello aveva preso in prestito dalla madre e stava spavaldamente guidando con il sorriso sulla faccia: Megamix Megamix – la x e la ypsilon la ypsilon e la x. 
Il concerto iniziava alle 21.00 e Lello fremeva dalla voglia di scatenarsi sotto il palco.
Ale no, sperava solo ci fosse abbastanza aria per respirare in mezzo alla folla, e che facesse i lenti, si ecco, tipo “Mi fido di te” o “A te” o “Per te” o “Dove ho visto te”. Il “te” era una garanzia e un punto di riferimento per lei. Non che le piacesse poi tanto Jovanotti, andava soprattutto per fare un piacere a lui.
Stavano insieme da sette anni e tra un battibecco e l’altro ogni tanto riuscivano ancora a condividere qualcosa. Quella sera era riuscito a convincerla con la scusa dell’entrata gratuita e lei aveva accettato più per evitare un’altra litigata che per sincero entusiasmo.
Ma d’un tratto la direzione si era fatta più sconosciuta del previsto. Lello aveva scelto di lasciare prematuramente l’autostrada e azzardare la statale per evitare code sicure, ora però l’orientamento di entrambi stava venendo messo a dura prova dall’interminabile campagna che circondava il loro andare e l’insopportabile mancanza di cartelli chiari e inequivocabili.
“Sono le 20.40 e non sai neanche tu dove stai andando!” disse lei con tono spazientito.
"Alessandra ti prego, non farmi incazzare, adesso arriviamo. Sii fiduciosa… una volta tanto.”
Silenzio. Tra loro. Piove! Senti come piove! Madonna come piove! Senti come viene giù! Uh! in
sottofondo, quel sottofondo ormai accettato, fattosi ovvio, quasi impercettibile.
Lello perdeva velocemente la pazienza, era un finto ottimista. Uno di quelli che imparano col tempo ad iniettarsi dosi di positività per contrastare la rabbia che hanno dentro, ma senza riuscire a cambiare fino in fondo la loro natura. Voleva davvero bene alla Ale, la chiamava sempre così, ma non sopportava la sua ansia. Forse perché risvegliava quella che era in lui ed ogni volta era una sfida faticosa da gestire.
"Siamo in ritardo Lello, a me poco importa, lo dico per te.”
“Me ne sono accorto. Se almeno ti fossi sbrigata prima. A prepararti ci metti sempre una vita.”
“Oh senti, non rigirare la frittata! Tu hai deciso di fare questa strada! E dì la verità, non lo sai dove siamo, non lo sai! Ammettilo, porca miseria!”
“Uff… due palle!”
Silenzio. Le loro discussioni si risolvevano sempre così. Con silenzi pregni di un’aggressività passiva, latente, talmente pericolosa da far temere il peggio anche a chi il peggio l’ha già visto tutto.
Come l’equilibrio precario sull’orlo di un burrone. Come in mezzo a una fuga di gas, che se accendi la luce esplode l’edificio. Robe del genere. Fortuna che c’era l’ipod: Questo è l’ombelico del mondoooooooooo!!!! Ta-da-da-dan - Ta-da-da-dan! 
Lello aveva imboccato via Alighieri e poi via Walter Tobagi, viale alberato e non molto largo, la sua guida si era fatta più nervosa, ma si sentiva vicino all’obiettivo. Nella Golf aleggiava uno spirito di gara, competizione allo stato puro. Alessandra sempre più indisposta era diventata davvero seria, braccia conserte, gli lanciava delle occhiate miste tra l’interrogativo e l’intollerante, e lui le evitava.
Ma rilanciava appena il suo sguardo tornava a fissare il vetro. I loro occhi non si incrociavano mai.
La via era quella giusta, l’omino con la giubba catarifrangente dritto davanti a loro una ventina di metri più in là faceva segno di parcheggiare a sinistra.
“Hai visto testina, ci siamo!” disse lui in tono arrogantemente simpatico.
Aveva ragione, erano arrivati. Lei detestava dovergli dare ragione.
“Che hai adesso?! Fai un sorriso su…” le disse.
“Sai essere davvero fastidioso!” - rispose lei – “e comunque sono le nove e dieci ed è già iniziato,senti!”
In lontananza si udivano i suoni dell’intro di apertura, se ne udivano i bassi soprattutto, da paura! E sfumato il boato della gente. Alessandra già tremava. L’idea di farsi spazio nel parterre tra tutte quelle sagome sudate e appiccicate e di dover resistere in apnea per almeno due ore la faceva sprofondare in un’angoscia primordiale. E il fatto di doverla celare, per rispetto a Lello e a tutti e due, di certo non la aiutava.
“5 euro?!"  disse Lello rivolto all’uomo del parcheggio, “ammazza!”
“Lo sai Lello, è così in questi posti”,  disse lei.
Glieli porse in monetine con aria seccata, scesero dalla macchina e si avviarono verso l’ingresso: Safari! Dentro la mia testa… ci son più bestie che nella foresta! Safari! Il suono si faceva sempre più nitido e vicino. Lello cantava eccitato, camminando a passo veloce e trascinando la Ale tenendola per la mano. Lei rallentava, frenata, lo seguiva con un sorriso incerto sulle labbra e il magone negli occhi..
“Aspetta! Non tirare! Aspettami…”  che poi le parole della canzone in quel momento sembravano raccontare alla città i suoi pensieri e per un attimo ebbe la sensazione che quel concerto fosse anche per lei e che Lorenzo fosse un amico. Durò un attimo, poi tornò lo sgomento.
“O-oh”  fu l’esclamazione di Lello quando davanti ai loro occhi si palesarono transenne e addetti strappa-biglietti e a lato un botteghino con una fila residua di gente.
“Ma che storia è?”
“Lello…?!”  disse Alessandra con aria sempre più sconvolta.
“Eh?”
“Lello?!?!”
“Che vuoi?”
“Sbaglio o avevi detto che il concerto era gratuito?”
“Già… così avevo capito…”
Lello si rivolse timorosamente ad uno dei due energumeni che all’ingresso strappavano i biglietti:
“Mi scusi, ma c’è da fare il biglietto?”
“A quanto pare…” rispose sarcasticamente l’uomo.
“Ma… io avevo sentito dire entrata libera…!”, incalzò Lello.
“Hai sentito male… Costa 40 euro… Fai la fila alla cassa e poi vieni qui!”
“Oh merda…”, sussurrò sottovoce. Incerto e sbigottito era già pronto a farsi scudo dalle frecciatine della Ale con le spalle voltate. La sua reazione in effetti non tardò ad arrivare:
“No scusa, ora mi spieghi… che significa che avevi sentito dire?!”
“Uff… Marco mi aveva detto che… Che cazzo…”
“Marco ti aveva detto…?! Cioè, vabbè, e tu? Un’occhiata in internet?! No vero?! Cristo Santo…”
Questa volta aveva ragione. E per quanto adirata fosse almeno questo la fortificava.
“Dai su, ti prego, non ricominciamo, stai tranquilla che adesso una soluzione la troviamo!”
Lello cercava di appellarsi alla solita fiducia e di placare così il suo senso di colpa.
“Tu 40 euro non li metti vero?”
“Cosa?? Per Jovanotti?? Ma scherzi?! Non esiste proprio!”
Stette in silenzio per cinque secondi con lo sguardo concentrato nel nulla, e poi convinto:
“Ok, li metto io, anche per te! Andiamo!”
“Ma non dire scemenze… non mi pare assolutamente il caso!”
“Andiamo!”
Le prese la mano, di nuovo e la trascinò fino alla cassa, nel giro di due minuti furono dentro l’arena.
Falla girare! Falla girare! Falla girare così che tutti la possano vedere…Falla girare! Falla 
girare…Falla girare così che tutti la possano sentire…Falla girare! Falla girare!
Lei disorientata e delusa, trainata dalla mano di Lello; lui guerriero mascherato intento ad aprire varchi tra la folla. Si staccò, d’un tratto Alessandra si svincolò dalla presa e si allontanò verso uno spiazzo di terra più
libero e areato poco più in là.
“Dove vai?” – disse lui – “Aspetta… Vieni qui, dove vai? Ale?”
Lei continuò per la sua strada. Per la sua fuga. Da sola. Niente, non si aspettavano.
Lui avvertì l’istinto di seguirla e riprenderla, ma per qualche strana ragione i suoi piedi rimasero incollati nella stessa porzione di suolo in cui lei si era staccata dalle sue mani. Poi ripresero a muoversi, sotto la spinta di un fremito troppo grande da placare o asservire ai bisogni di qualcun altro, in direzione palco. Lello si fece portare e continuò per la sua strada.
Partì un lento, uno di quelli che piacevano tanto alla Ale, anche se non finiva per “te” ma per “…ne”. Una certezza in meno.
Lello, nonostante non fosse ciò che si aspettava, si eccitò a sentirla dal vivo, “ Un’illusione”, pezzo dell’ultimo album che Lorenzo non faceva mai e lui lo sapeva bene. Ma a dispetto del lento, non fermò la sua avanzata, aveva bisogno di muoversi… è vero se è vero che è vero che io… che mi fa impazzire se penso che le cose che ho toccato insieme a te debbano svanire… dimmi che non è…dimmi che non è tutta un’illusione, un’illusione”. 
Sembrava averli capiti. Lorenzo aveva questo potere di accorciare le distanze, sempre.
Ale intanto era lì, nel suo angolo di arena, sotto uno dei due impianti di amplificazione disposti in mezzo al pubblico, persa tra la musica e sé stessa, che riusciva ancora a scorgere la testa del suo uomo mentre si allontanava, ma soprattutto la sua maglietta rossa che si confondeva via via tra le centinaia di magliette dondolanti al ritmo di quella maledettissima ballata così lacerante e perfetta.
Sconfitta, le braccia conserte, continuava a lanciargli delle occhiate miste tra l’implorante e l’inaccettabile a intermittenza; mentre lui proseguiva inconsapevole verso le prime file.
Ogni tanto si voltava indietro, a cercarla. Perso tra la gente e la sua rabbia. Si girava sempre quando
lei era impegnata a guardare altrove. Era così, i loro occhi non si incrociavano mai.
-“E ora una canzone molto vecchia, mi sa che la conoscete… cantatela insieme a me:
Alèèèèèè Oh-oooooooooh… Alèèèèèèè Oh-oooooooooh Che bello è Quando c’è tanta gente E la 
musica la musica ci fa star bene! È una libidine! È una rivoluzione! Quando ci si può parlare con 
una canzone…Alèèèèèèè Oh-oooooooooh… Alèèèèèèè Oh-oooooooooh”. -

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