La mia piccola imbarcazione di legno scartò quasi impercettibilmente verso destra. Fosse stato pieno giorno, nel tramestio di onde e natanti, non me ne sarei nemmeno reso conto. Ma erano le 4 del mattino, le acque immobili e oleose. Il rumore del mulinello che riavvolgeva il filo a farmi compagnia.
Poggiai con cura la canna da pesca e cercai di mettere a fuoco la causa di quel movimento irregolare, ma era ancora troppo buio.
La torcia nello zainetto, pensai. Non la usavo da parecchio e sperai che le batterie non avessero perso la loro carica. Spinsi il piccolo tasto di accensione ricoperto di gomma e puntai un debole fascio di luce verso l’acqua.
Caddi all’indietro, travolgendo lo zainetto e il seggiolino da pesca. La piccola barca oscillò paurosamente e in quel frangente sperai solo che non si rovesciasse.
Il dolore al costato era lancinante ma la paura pervadeva e cancellava qualsiasi altro senso.
Non era possibile, no. La suggestione mi aveva giocato solo un brutto scherzo. Il cuore impazziva dentro il petto e mi chiudeva la gola. Brividi di terrore scuotevano ogni centimetro del mio corpo.
Mi misi in ginocchio trascurando le fitte di dolore, raccolsi nuovamente la torcia tenendola stretta con tutte e due le mani, temendo di perdere l’unica fonte di luce possibile. Mi affacciai nuovamente oltre lo scalmo. Porco diavolo non c’era più nulla. Quasi strisciando, mi affacciai dall’altro lato.
Niente.
Poi guardai a poppa, oltre il piccolo Evinrude da 25 cavalli. Era ancora lì.
Con un paio di remate, lo raggiunsi e puntai nuovamente la torcia. Gli occhi aperti e spenti, i lunghi capelli neri che fluttuavano attorno a quel viso giovane e scolpito.
I polsi intrecciati appena sotto l’ombelico. In una mano una corona, nell’altra un piccolo anello, che
continuavano a riflettere piccole scintille di luce nelle tenebre.
L’espressione serena contrastava con l’assurdità di quella maledetta scena.
Pensai, chissà perché a Colapesce. Alle leggende che mi raccontava sempre nonno Salvatore quando ero ancora un bambino. Non esistevano sale cinematografiche nel paesino dove ero nato.
Quei racconti erano i miei film. Immaginavo le avventure sottomarine di quel piccolo smorfioso messinese, famoso per la sua resistenza nelle immersioni. E per uno strano scherzo del destino me l’ero immaginato con i capelli lunghi e neri. Proprio come il corpo che flottava a pochi metri dalla mia barca.
Cercai di concentrarmi per calmare il cuore che martellava ancora furiosamente. Poi qualcosa mi afferrò e mi trascinò in acqua. Non ebbi nemmeno il tempo di prendere fiato. E non ce ne fu bisogno.
Il ragazzo dai capelli lunghi e ondulati del quale avevo certificato la morte pochi istanti prima, ora
stringeva saldamente il mio polso e si inabissava ad una velocità pazzesca. La cosa più sconvolgente era che non avevo paura, adesso il mio cuore batteva regolarmente e non avevo bisogno di respirare per dare ossigeno alle mie membra. Potevo addirittura parlare. Me ne resi conto quando la mia bocca si aprì ed emise strani e gorgoglianti suoni ovattati:
“Dove mi porti?!”Chi sei?”
Non si voltò nemmeno, mentre con destrezza continuava a scendere in profondità.
'Sto sognando e non riesco a svegliarmi', pensai sfiorando una piccola colonia di cavallucci marini,
che all’unisono arricciarono la coda come a volerci salutare augurandoci buon viaggio.
'Sto impazzendo' decisi tra me e me.
Il panorama subacqueo nel frattempo era cambiato drasticamente. Nonostante la profondità, la luce
aumentava di intensità, gli animali acquatici sempre più colorati e sconosciuti. Pensavo di conoscerle tutte le specie di pesci, me lo richiedeva la mia professione di pescatore. Eppure quelle creature erano stravaganti e aliene. File di occhi, pinne multicolori, dorsali spinose. Sembrava un film di fantascienza.
Mi voltai per osservarne uno dai colori particolarmente vivaci e con la coda dell’occhio notai che all’altezza del costato, proprio dove avevo sbattuto violentemente cadendo, si erano aperte tre piccole fenditure. Le guardai per qualche istante. E quasi rassegnato pensai:
'Adesso anche le branchie'.
All'improvviso un intenso fascio di luce richiamò la mia attenzione.
“Non può essere” esclamai eruttando mille bollicine di acqua salata.
Dinanzi ai miei occhi una gigantesca colonna, alta almeno 100 metri e con una base dall’immenso diametro, dominava la scena. Tutt’attorno, una miriade infinita di pesci dai colori incredibilmente vivaci, avvolti a spirale. Sembrava stessero lavorando.
 La mia guida rallentò la sua discesa, lasciò che il mio corpo si affiancasse finalmente al suo e con mio grande stupore sentii per la prima volta la sua voce
“Questa che vedi è una delle Tre Sacre Colonne. Mantengono in superficie la nostra amata isola. Ce ne sono altre due identiche. Una a sud e una a ovest. Quattrocento anni orsono scesi fin quaggiù perché una delle colonne era stata danneggiata dall’eruzione dell’Etna del 1614, la più lunga eruzione a memoria d’uomo.” Adesso potevo osservarlo in tutta la sua forza. Non riuscivo ancora a credere a ciò che mi stava
accadendo ma il suono delle sue parole era forte e al tempo stesso melodioso.
“Ho sostenuto la colonna danneggiata e organizzato il lavoro dei pesci rammendatori per quattro secoli” continuò. “Ora ho bisogno di te per proseguire il lavoro” disse poggiando la corona sul mio capo.
“Di me!” pensai trasognato.
“Questa ti servirà per poter comunicare con le creature che abitano questo luogo e per organizzare i continui lavori di restauro di cui la colonna ha bisogno. Si aprono piccole crepe ogni volta che l’Etna aumenta la propria attività”.
Mentre andava avanti nel suo personale rito di investitura i miei sentimenti di timore e meraviglia si trasformavano pian piano in entusiasmo ed esaltazione.
“L’anello è il tuo legame con il mondo reale. Indossalo e il tuo presente rimarrà tale fino alla tua risalita” disse porgendomelo.
Ero al settimo cielo. La mia vita che in superficie scorreva tranquilla e monotona ora si trasformava in un’avventura da leggenda. Ero diventato il protagonista dei racconti che da bambino mi facevano sognare ad occhi aperti.
Quello strano ragazzo, che aveva sconvolto il mio mondo, adesso mi guardava. Mi abbracciò trasmettendomi una pace interiore straordinaria. E mentre lo osservavo allontanarsi, nonostante la pressione dell’acqua, sentii calde lacrime scendere sul mio viso e mescolarsi al mio nuovo elemento naturale.

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