Fu allora che entrarono.

Dapprima Luigia, Maria e Giuseppina, poi Rosa, Teresa ed Elena. Caterina fu l’ultima.

Tutte armate, con il viso teso e lo sguardo freddo. Impugnavano coltelli e pistole. Nessuna esitazione. Nessuna parola. Uno dopo l’altro, finirono i superstiti delle esplosioni con la precisione di chi sa che la pietà, in guerra, è un lusso che si paga con la vita.

Giulio uscì lentamente da dietro l’altare. Le orecchie ancora rimbombavano dell’inferno appena esploso. Si guardò attorno: corpi, macerie, sangue. Nessuna soddisfazione, solo la consapevolezza che il piano aveva funzionato.

Poi vide Caterina.

Le andò incontro con un sorriso stanco ma vero. Lei lo vide, e il volto le si sciolse in un’espressione di sollievo. Era vivo. Era tornato.

L’ufficiale, riverso tra i cadaveri, non era morto. Con uno scatto improvviso, estrasse la pistola e, urlando con voce spezzata:

«Facci strada all’inferno!»

fece fuoco.

I colpi riecheggiarono tra le navate come un ultimo ruggito. Giulio fu colpito alla schiena, più volte. Il suo corpo si piegò in avanti, le gambe cedettero, le braccia si protesero verso Caterina, come per raggiungerla, un traguardo vicino, eppure già irraggiungibile.

Giuseppina, con un solo colpo preciso, mise fine alla vita dell’ufficiale.

Caterina si precipitò verso Giulio e lo sorresse tra le braccia, con le lacrime che le offuscavano gli occhi.

«Giulio…»

Lui sorrise appena. Il sangue gli macchiava le labbra, ma la voce, seppur flebile, era ancora ferma.

«Ho vissuto abbastanza… Ho conosciuto te. Ti ho amato con tutto il mio cuore. Non ho rimpianti. Vado a raggiungere i miei compagni…»

I suoi occhi si fecero vuoti, trasparenti. La fissavano, ma non la vedevano più.

Caterina gli posò un bacio lieve sulla fronte.

Lo seppellirono dietro la chiesa, sotto un albero spoglio che affondava le radici in una terra ancora intrisa di sangue e pioggia.

Non ci fu preghiera né discorso. Solo silenzio.

Due rami intrecciati furono piantati come croce: fragili e diritti, come lui. Caterina restò in piedi accanto alla fossa, le mani giunte e il volto asciutto. Non servivano lacrime. Solo la promessa, muta e incrollabile, che non lo avrebbe mai dimenticato.

Poi si voltò. E se ne andarono.

 

Capitolo VII – Il viaggio

 

Erano passati diversi giorni dagli eventi alla chiesa.

Caterina chiuse con cura lo zaino. All'interno aveva messo poche cose: un cambio di biancheria, una coperta piegata, un sacchetto di pane secco, una borraccia. E una piccola fotografia sbiadita, che Giulio le aveva mostrato una volta, indicando con affetto i volti dei suoi genitori.

Le altre Sorelle la osservavano dalla soglia.

«Hai riflettuto bene su questo viaggio?» chiese Maria, con tono materno.

Caterina annuì. «Sì. Devo farlo. Devo incontrare i suoi genitori. Raccontare loro chi era davvero… e come è morto. Da eroe».

Giuseppina si fece avanti. «Vengo con te. Non devi andarci da sola».

Ma Caterina le posò una mano sul braccio, gentile. «Questa è una cosa che devo fare io. Da sola».

Le Sorelle non insistettero. La guardarono partire in silenzio, finché la sua figura si confuse con i colori della valle.

Camminò a lungo, seguendo le indicazioni che Giulio le aveva dato con poche parole. Sentieri fangosi, colline spoglie, boschi silenziosi. Dormiva dove capitava, mangiava poco, parlava con nessuno.

Dopo giorni di viaggio, una strada sterrata si aprì tra gli alberi. In fondo, una casa di campagna: bassa, con i muri di pietra grigia e il tetto a spiovente coperto di muschio. Un pollaio sul lato, un orto curato sul retro. Nell’aria, l’odore buono della legna bruciata.

Davanti alla casa, una donna non più giovane stava stendendo il bucato su una corda, le mani rosse dal freddo, il fazzoletto stretto intorno al capo.

Caterina si avvicinò piano.

La donna si voltò, sorpresa. I loro sguardi si incrociarono. Caterina la riconobbe: era lei. La madre di Giulio. Lo stesso sguardo, la stessa luce dolce e fiera.

In un gesto istintivo, la abbracciò. Un abbraccio pieno, lento. La donna, colta di sorpresa, si irrigidì per un attimo, poi ricambiò piano.

Caterina le sussurrò dolcemente all’orecchio, con la voce incrinata dal viaggio e dall’emozione:

«Ho amato Giulio, tuo figlio.»

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