Germania 1945.

L’armata rossa da est e gli americani attraverso il Belgio, stritolavano i resti del Terzo Reich millenario con una manovra a tenaglia.

La popolazione stremata dai bombardamenti e dalla fame si spostava da un punto all’altro della nazione cercando un posto sicuro per  attendere la fine.

Hitler aveva annunciato che non si sarebbe arreso, non si sarebbe consegnato, che avrebbe resistito fino all’estremo sacrificio.

Gli sbandati della Wehrmacht e gli alleati francesi di Degrelle, organizzavano sacche di resistenza nel tentativo di bloccare gli invasori del sacro suolo. La loro danza della morte, li avrebbe ricacciati all’inferno.

Una coppia, un uomo e una donna attraverso i lampi del bombardamento, videro il palazzo.

“Devi riposare Louis, vieni, questo rifugio ci permetterà di passare la notte.”

Lili, sua moglie, fece da apri pista attraverso i detriti di quella che una volta era una casa.

“Maledizione! Credo di avere la febbre, mi devo stendere, vieni qui micio… Bebert?” chiamò.

Il gatto uscì dalla borsa e si andò ad accovacciare sulle gambe dell’uomo.

“Abbiamo ancora un po’ da mangiare, ma entro domani sera, dobbiamo arrivare il più vicino possibile al confine.”

“Hai la febbre, è meglio che passi prima di andare avanti, qui siamo al sicuro.”

Con uno sforzo immane spostarono delle travi e ampliarono quel rifugio.

Uno sbuffo di polvere fece tossire l’uomo che imprecò contro il cielo.

“Ti prego, zitto, vieni qui stenditi e riposa. Non stanno più sparando, forse si sono fermati.”

“I bolscevichi e i loro alleati, stanno facendo piazza pulita, dobbiamo arrivare in Danimarca senza farci catturare.”

“Louis ma tu non hai fatto niente di male!”

“Merde! Lo so, ma ciò che ho scritto non è piaciuto a russi e americani, d’altronde i soldi delle lobby ebraiche hanno favorito sia l’uno che l’altro e a me hanno dato del nazista, io che sono l’ultimo degli anarco-scrittori. Marinetti e Pound, i rivoluzionatori del linguaggio del XX secolo, sono stati anche loro accusati di fascismo, merde…”

Staccò piccoli pezzi di pane che mise a terra, per il gatto.

“Noi francesi spariremo da questo mondo, al pari dei Galli, merdosi zimbelli; non ci hanno lasciato nemmeno una ventina di parole scritte. Se di noi verrà ricordata una parola, sarà: Merde!”

L’uomo ingoiò un pezzo di salame e annotò qualcosa sul taccuino.

La notte piombata sulle rovine, li aveva ghermiti e sprofondati nel buio di una città di fantasmi.

“Cristo! Le fitte alla testa non mi danno tregua, sono trent’anni che mi martellano il cranio.”

“Sei stato un eroe di guerra, un eroe per la Francia, che bello il tuo viso stampato sul “Illustrè Nationelle” mentre saltavi le linee  col cavallo!”

“Quell’azione del ‘14, mi è costata il braccio, l’udito e queste maledette fitte.”

“Ti hanno dato un sacco di medaglie e la croce di guerra.”

“Ora devo scappare come un ladro. Mi hanno tolto tutto salvo le cicatrici, sono un miserabile, ma ancora in piedi!”

“Non te la prendere, sei un bravo medico, non hai mai pensato ai soldi, hai curato chiunque a Parigi!”

La donna si rannicchiò vicino all’uomo e tirò su una logora coperta.

“Laureato con una bella tesi sull’asepsi. Ho amato molto la medicina, mi rendeva felice come scrivere i miei romanzi. La notorietà non mi è mai importata, ora vorrei solo che questo male passasse e che Bebert avesse un po’ di latte.”

Accarezzò il gatto poi lo lasciò andare in perlustrazione.

Spari isolati ricordavano loro che erano fuggiaschi, che né la Francia né la Germania erano dei posti dove potevano restare e soggiornare; era un’epoca grottesca quella che stavano vivendo, curvi, malati e stanchi, impossibilitati al movimento, avrebbero dovuto viaggiare fino al termine della notte.

“Guarda Bebert è tornato!”

Il gatto entrò nell’edificio e andò dall’uomo.

“Voi siete tutto ciò che possiedo. Mi sono trovato invischiato in storie e ho pagato tutto di mia tasca, nessuno mi ha regalato niente, ciò che è gratuito non vale niente." 

Con gli occhi socchiusi, sudava appoggiato al muro che lo separava dalla distruzione del mondo.

“Tieni, ho fatto un po’ di caffè, ho trovato un pugno di chicchi tra quei mobili rotti, bevine un sorso ti farà bene all’emicrania.”

L’uomo sbuffò l’aria dal naso e piantò le nere pupille nella bevanda.

“In cavalleria, caffè e cognac non mancavano mai; per noi che eravamo i preferiti di Gallieni e Foch le razioni erano doppie. Nel ’14 si poteva ancora assaltare, lanciare il cavallo e puntare con la sciabola…”, bevve un sorso e fiutò l’aria che odorava di bombardamenti e macerie, “… poi tutto si è fermato, tutto è diventato immobile, un'immensa latrina scavata nel fango dove  attendere la fine di coloro nati a fine ‘800.”

Dei bengala illuminarono la notte, aprendo una breccia nel buio germanico facendo sollevare i volti dei sopravvissuti alla follia della guerra.

“Siamo stati vermi impantanati nel ventre di una terra infame, piagati dal piombo.”

“Riposa amore, pensa a prendere forza.”

“Un’intera generazione è stata spazzata via e un’altra non ha avuto il tempo di togliersi il pannolino che è stata rimandata a morire sugli stessi fronti, e il caffè ha lo stesso sapore di ferro di allora.”

 Il respiro si fece pesante, bestemmiò un paio di volte e si addormentò tra le braccia di Lili.

“Louis? Louis svegliati, è tardi!”

Il bambino aprì gli occhi e ancora assonnato gettò le braccia al collo della madre.

“Vite vite! Veloce piccolo mio, devi sbrigarti che altrimenti farai tardi a scuola.”

“Mamma ho sognato…”

La donna si era spostata dall’altro lato della stanza, per controllare se il piccolo fornello avesse scaldato il latte.

“Mamma ho fatto un sogno strano, stavo scappando.”

“Da chi biscottino mio?”

“Non so, ma con me c’erano mia moglie e un gatto, Bebert.”

“Una moglie?”

“Si ho sognato che stavo male, mi facevano male le cicatrici della guerra, ma io sapevo cosa fare perché ero un medico.”

La madre si fermò un attimo ad ascoltare il figlio parlare.

“Però non ero solo un medico ma anche uno scrittore, avevo scritto dei libri e a causa di essi ero stato esiliato, perché non mi avevano capito.”

“Che strano sogno Louis, proprio strano, ma a pensarci bene bellissimo, hai sognato che eri un medico e uno scrittore” disse la donna, poi versò il latte nella scodella e ci aggiunse il caffè.

Louis si mise a tavola e fece colazione, morse la fetta di pane e bevve un sorso.

“Mia moglie si chiamava Lili, e… questo caffè sa di polvere e ferro, questo è tutto ciò che resta di un combattente.”

La madre sorrise e accarezzò la testa piena di capelli neri del figlio.

“Bene, Signor dottor Destouches è ora che tu vada.”

Il ragazzo prese la cartella e fece per uscire, poi a un tratto si fermò, la testa alta e le piccole spalle dritte ruotarono all’indietro in direzione della donna.

“Mamma, per qualcuno forse sarò il dottor Louis Destouches, il medico, ma per il mondo intero sarò Louis Ferdinand Céline, lo scrittore maledetto!”

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