"Scusa, ma tu sei Sergio?” Certo che sono Sergio, penso, e tu chi sei?  
“Si, sono Sergio.E lei, mi scusi,chi è?”  

E’una signora distinta, minuta, con i capelli sul rosso scuro piuttosto corti.  Inclina leggermente la testa e mi guarda con un'espressione fra il divertito e l’incredulo.  
“Ma dai, non mi riconosci?” No. Non so proprio chi tu sia. Magari hai sbagliato persona. 
 “Ehm, no...mi dispiace. Lei è...?” 
 “Sono Mirella! Questo ti dice qualcosa?”   A parte che io le sto dando del lei e lei invece mi dà del tu, ma Mirella...Mirella... Mi viene in mente la segretaria di sezione del Movimento Studentesco. Ma era più alta. Era diversa. No, non può essere lei e poi: SBAM. Colpito. Ma non affondato. Mirella. La mia prima ragazza. Quella con la quale ho scoperto, finalmente, il sesso. Mirella. 
A guardarla non trovo nessun appiglio all’immagine di cui per un po’ mi sono ricordato. Esatto, non avevo neanche una sua foto.    
Mirella :e mi passa come un treno ad alata velocità una storia di quarant’anni fa.  Innamorato perso. Parto per il militare. E, proprio come in   Piccolo grande amore di Baglioni che era in voga proprio in quel tempo,  lei mi lascia mentre io sto cercando di capire cosa diavolo ci faccio qui con un sacco di altre persone spaesate in una fredda e anonima caserma. 
 Ricordo quella mattina, gelida, in cui il caporale di giornata chiama il mio nome per consegnarmi una lettera e, come ha fatto anche con quelli prima di me, mi dice con aria divertita: “Fai un saltino!” E tocca farlo mentre immagini di torturarlo con una pistola sparachiodi pur di avere la lettera. 
Era meglio di no. Molto meglio non ritirarla.  Volevo dirti che fra noi è finita. Io voglio poter vedere i miei amici e divertirmi con loro. Tu sei asfissiante. Non giudicarmi male. E non pensare che io sia egoista. Amen.  
Dopo qualche giorno in cui mi trascino come uno zombie, che penso che non mi innamorerò mai più, che appena finisco  il militare vado in Africa a fare il missionario, che tutto è finito ormai, arriva Virgili. Non so il nome, l’abbiamo sempre chiamato per cognome. Marchigiano. Contadino.Tosto. La testa tonda come il mappamondo del telegiornale. 
 “Se’ma che hai? Sei sempre cuscì triste. Ogni tanto te vedo piange. Che succede, ce so’ problemi a casa?” 
Alzo la testa che tenevo fra le mani e mormoro :“No, è che la mia ragazza mi ha lasciato” 
Fa una faccia come se un bambino gli avesse detto una scemenza. 
“Tutto qua?Ma lo sai che il mondo è pieno de’ ragazze che te vogliono conosce?” 

“Si, son lì tutte ad aspettare me...”  
“Senti, smettila di fare così. Sai che fai? Ce l’hai la foto sua? Si che ce la devi avè." 
Faccio si con la testa. 
“Ecco bravo, ritaglia dal giornale altre venti foto di donne, ci metti insieme la sua e le scrivi: scusa, ma non mi ricordo più quale sei tu.” 
Per la prima volta sorrido dopo giorni.
E poi anche il militare finisce e succede che in primavera incontri una ragazza, ci si guarda negli occhi, ci si sorride e addio i non mi innamoro più e le missioni in Africa, rimando anche il proposito di ammazzarmi.   
Mentre il treno dei pensieri passa, Mirella mi ha snocciolato cose come: “Insegno italiano al liceo, mi sono dovuta trasferire a Sirolo seguendo lo sciagurato progetto di mio marito di aprire un'agriturismo. Progetto che è miseramente fallito e che ha prosciugato tutti i nostri risparmi. Ogni tanto torno a Milano a trovare mia sorella. Mi farebbe piacere vederti ogni tanto.”
Ameno.  Prende forma  un’immagine di quando ero bambino. Il pollo in gelatina della zia Antonietta. Ogni anno, sotto Natale ci si riuniva a casa sua per un pranzo in grande stile. Ogni anno arrivava questo pollo in gelatina. Lo guardavo e poi facevo una smorfia di disgusto per quel povero esserino sepolto sotto una teca come Biancaneve. Mia mamma faceva la faccia di circostanza e poi diceva: ”E’un po’ sofistico il Sergio, lui è solo pastasciutta e polpette” e metteva la mia razione di pollo in gelatina nel suo piatto con un sorrisetto di scuse.  
Ecco Mirella il nostro amore di allora per me è come quelpollo in gelatina.   
“Ehm scusami ma ho un appuntamento urgente e devo proprio scappare.”  
“Il telefono” mi grida mentre mi allontano. Fingo di non capire. Lo tolgo dalla tasca, glielo mostro. 
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