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Dalle mie parti, durante il periodo che ruota attorno alla Festa di Ognissanti e la Festa dei Morti, nelle pasticcerie, nei panifici e nei bar è onnipresente la frutta martorana. Si tratta di riproduzioni reali di frutti realizzati con pasta di mandorle dipinta rigorosamente a mano con del colorante alimentare. Ci sono poi, degne si nota, le ossa dei morti, caratteristici biscotti Made in Sicily di dura consistenza che vengono preparati con zucchero, farina, albume e chiodi di garofano. Ricordo che io e mia sorella Cettina, rispettivamente di otto e sei anni, non avevamo ancora assaggiato né gli uni né gli altri, tant'è vero che in diverse occasioni incollavamo le facce alle vetrine di una rinomata dolceria, sbavando e immaginando quanto potessero essere buoni. Finché un pomeriggio d'ottobre i nostri genitori ci promisero di acquistare un cabaret misto, a patto di pazientare fino al 2 novembre, e di mangiarli con parsimonia per evitare danni ai denti. Dal momento che fummo invitati a pranzo dai nonni paterni per la Festa dei Morti, ci presentammo a casa loro con 'nguantera da un chilo, che con estrema cura venne da me adagiato su un mobiletto del soggiorno manco fossi stato un vescovo officiante. Dopo che desinammo in salone a base di pasta al forno e carne, si passò alla frutta...di stagione. Mi scoglionai e presi così l'iniziativa di pigliare quatto quatto la confezione e di strappare pian pianino la carta che l'avvolgeva, nel mentre la mia famiglia alle mie spalle era intenta a parlare o a sbucciare delle pere ammassate in una fruttiera. Mi sgamarono a operazione conclusa e, nonostante il rimbrottino di mia madre che mi definì uno zulu, con strafottenza posizionai il vassoio sopra la tavola e arraffai quattro o cinque dolcetti per mano, non prima di spostarne parecchi per scegliere quelli che mi garbavano di più. «Prendi, prendi» ironizzò seccato mio padre. «Stai sicuro che ti potrai fare la dentiera come a tuo nonno» Assaggiai sia un pezzetto di un osso di morto, sia un pezzetto di uno dei frutti di martorana che ricreava un mandarino e ne restai deluso. Il primo troppo friabile e speziato, il secondo eccessivamente zuccheroso e senza quel retrogusto di frutta come avevo erroneamente pensato. Con nonchalance, i dolcetti impugnati li riposai sul cabaret, per di più mostrando una faccia di bronzo. «Ah, non li voglio più! 'Sto scimunito li ha toccati con quelle sue manacce zozze! Poco fa si è messo le dita nel naso!» cominciò a lagnarsi fastidiosamente mia sorella. Sentii l'impulso di darle una lezione e, non potendola percuotere facilmente poiché era seduta dal lato opposto della tavola, le lanciai sulla fronte un osso di morto, un biscotto duro come pochi. Mia sorella, per scendere dalla sedia con il proposito di raggiungermi e di reagire allo sgarro, urtò inavvertitamente con il braccio una bottiglia di coca cola che finì per cascare sul vassoio. Per fortuna lo strato trasparente, che di norma viene inserito dai pasticceri o dai baristi nella parte superiore della confezione aveva salvaguardato più della metà del contenuto. Il risultato fu il seguente: mio nonno, fregandosene della ricorrenza si lasciò andare a una sonora bestemmia, mia nonna, sospirando, provvide ad asciugare dove necessario e a gettare nella pattumiera la sottile striscia protettiva e i dolci inzuppati, mia madre, invece, mi cazziò di brutto, mentre mio padre mi fece assaggiare un paio... di sganassoni. Nel frattempo, la rompi di Cettina, con espressione compiaciuta, si godeva lo spettacolo, gustandosi un dolcetto a forma di fico d'india.
Nota dell'autore: 'nguantera è una parola siciliana dalla quale si intende un vassoio di dolci, mentre dolceria nell'uso meridionale si indica una pasticceria o confetteria.
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