A Bruno, perché sei la mia forza e so che leggerai fino in fondo,senza demordere mai. So, che anche tu, sei un guerriero.

 

 

Stasera piove, piove tanto.

Ma ultimamente a coprire il suono del vento ci pensa il mio cuore. E’ incredibile,quanto quello che abbiamo dentro di noi riesca a condizionare quello che percepiamo all’esterno. E ci vuole impegno a non lasciarsi condizionare, ma poi ne vale la pena? Cioè vale la pena essere oggettivi,forti e privi di emozioni?

Prima era più facile rispondere, a qualsiasi tipo di domanda. Quando il cielo è sereno intendo. Poi arrivano i temporali. E là ti voglio. Quando sei bagnato fradicio e ti devi rialzare. Quando,invece,vuoi soltanto mettere un pigiama caldo, tirare le coperte più in su del naso e dormire. Perché il dolore ti porta allo sfinimento, ti lacera l’anima fino a farla a brandelli. E ti dico che solo pochi hanno il coraggio di viverlo il dolore,ancora meno sono coloro che lo vincono.

E queste persone, tu le vedi per strada e se stai attento le riconosci. Sono quelle che hanno uno sguardo limpido e pulito, che sono umili ma piene di dignità,con una forza particolare,che trasuda dai loro modi di fare. E hanno quelle cicatrici, che affiorano tra un sorriso ed uno sguardo,ed io vi giuro, che qualcosa di così bello non l’ho mai visto da nessun’altra parte! Quando le incontri ti lasciano un segno, un po’ di quella bellezza ti  contagia e riesci a brillare anche tu, se sai cogliere la lezione.

Una volta ero una persona pulita,prima. Una vita fa. La vita ti sporca. Io mi lascio sporcare. Chi ero prima? Non lo so. Ma la cosa tremenda  è che  non lo voglio più sapere. Non voglio sapere da dove sono partita, né dove voglio arrivare. Ho bisogno di vivere,un presente diverso da quello sognato,ma per cui ho dovuto lottare. Esisteva un tempo in cui vivevo in una strada secondaria,quelle di paese, quelle dove non vedevi niente,ma niente sul serio,né un panorama,né un pezzo di cielo. Era una vista divisa tra due case e un muro. Alla fine,però, il tuo orizzonte te lo creavi,tra un po’ di verde e il grigio dell’inverno. Alla fine,è quello che ti salva,quello che puoi creare dal poco che ti circonda.

E quel poco,che poi è importante, ci vuole tempo a crearlo.

 

La mia vita,prima,quella coi limiti.

Ciao,io mi chiamo Sara. Chi sono? All’epoca in cui tutto inizia ero solo una bambina di sei anni. Ero tranquilla,fuori.

Una tipa normale,coi codini e la cartella rosa coi cuori. E andavo a scuola col mio carico di libri colorati sulle spalle, canticchiando le canzoni dei cartoni animati e sperando che la maestra mi desse il tempo di sistemarmi per bene sul banco,prima di cominciare a gridare. Era un canto di cornacchia, il suo voler spiegare le cose. Da bambina io la guardavo con gli occhi sgranati e la paura sulle ginocchia.  Che poi i grandi  tutta questa rabbia da dove la prendono? Come fanno a portarsela dentro e a non esplodere? Era quello che mi domandavo.

 Era una paura strana quella, che mi procurava una ferita dentro, simile ad un edera che partiva dalla pancia scendeva  alle gambe, risalendo per la spina dorsale e tra le costole per arrivare a stringere il cuore.  E dovevo imparare a farcela, non riuscivo a trovare un gesto rassicurante,avevo paura e freddo. Il terrore di quell’insegnante mi ha segnato profondamente, quegli anni erano un continuo accumulare ansia.

E tu dov’eri in quel momento? Ti ho persa. Eppure ti stringevo la mano camminando per strada.

La vita continua, nonostante le assenze e si arriva ad un punto dove lacrime,freddo e solitudine si cementificano nelle crepe dell’anima. Si andava avanti attraversando la nebbia, i temporali e le nuvole grigie della vita. Niente,non ti trovavo.

E il calore lo trovavo costruendomi la mia corazza, quella che vedevano tutti. E io no, non volevo far entrare nessuno. Perché è difficile far entrare qualcuno, le difese le devi annullare, se no il gioco non vale.

E io passavo le ore ad eludere gli altri, chiudendomi a riccio. Erano troppe le cose da spiegare e i nodi da sciogliere, le parole non erano di certo il mio forte. Era una vita piena di vuoti all’interno ed era quello che ricreavo nel mio di fuori.

I limiti che mi imponevo a tutti i costi, le paure che non riuscivo a battere, eppure lottavo costantemente.

Poi qualcosa è cambiato.

 

L’inizio di me.

Arriva un punto,  in cui cominci a capire che quello che hai vissuto ti ha reso una sorta di pilota di formula uno. Gli altri vivevano una vita normale, quando io il normale lo evitavo come la peste. Osservavo , imparavo e percepivo la realtà dal mio punto di vista,che i più credevano fosse sbagliato.  Quei limiti che mi ero imposta una volta, adesso mi sembravano oltrepassati. E li avevo superati senza neanche rendermene conto. Che poi parole come normale, educazione,fede non hanno mica un significato assoluto.

Una cosa che ho imparato è che non importa ciò fai nella vita e non importano gli sbagli compiuti, importano le “due C” cioè come le fai e il cuore che ci metti.

Come e cuore, sì.

Ho cominciato a vivere più serenamente,chiedendo una tregua a quelle crepe che mi avevano portato fin lì. Ci sono giorni in cui mi sento ancora una bambina, ma col cuore di una novantenne.  Ed è per questo che il mare in tempesta è il mio migliore amico. Ogni volta che vedo un balcone ho il desiderio fortissimo di affacciarmi,soprattutto se da lì ci sei tu.

Forse la felicità è questo, vederti ogni mattina e poterti salutare.

Eppure del mio passato mi è rimasto tanto,forse perché in quel tanto c’è tutto quello che ho imparato.

Mi è rimasta l’armatura … e l’amore per il silenzio.

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