Quanto tempo era che abitava a Biblos? Si domandò. Sembrava una eternità. Il dottor Foster aveva fatto miracoli con lei, peccato non le avesse inserito i dati matematici per risolvere i problemi che Mardok assegnava. Si collegò tramite il suo computer personale: biiip, biiip, biiip… il volto di Adam apparve dietro allo schermo. Noha aveva ragione, Adam era davvero brutto ma la sua bravura in scienze e matematica lo rendeva affascinante come non mai, soprattutto in quel momento.

“Ciao Sarah” Disse il ragazzino.

“Adam, sono nei guai!”

“Mardok?”

“Già.”

“Ti invio i dati. Finirà che ci scopriranno. Non oso pensare a quello che potrebbe accadere.”

“Di cosa ti preoccupi? Sono io la nevrotica, quella che si subisce le torture cerebrali di Foster in psichiatria.”

“Si, ma io sono sano e ti sto passando il compito di matematica.”

“Nessuno lo scoprirà.”

“Immagina se fosse tutto controllato?”

“Sono certa che è tutto controllato, altrimenti come si spiegheresti il fatto che Jeena sia stata scoperta a chattare con Samuel.”

“Jeena e Samuel? Come lo sai?”

“Controlli informatici.”

“No! Sul serio?”

“Ho le mie fonti che, naturalmente, non rivelerò a te.”

Adam sospirò.

“Ti è arrivato il file?”

“Sto copiando.”

“Bene. Scherzi a parte, come va con Foster?”

“Parli di incremento cerebrale? Una palla! Ho recuperato praticamente tutto, non so perché continuino a inserire dati nel mio cervello, sono così spossata. E’ una gran fatica e una rottura, però sembra funzionare.”

“Secondo te sono ricordi veri? Cioè, è la tua vita passata sul serio o sono ricordi di qualcun altro?”

“Anche io me lo sono chiesta, chissà come mai. Immagina: vivere la vita di qualcuno che non conosci come fosse la tua… che figata!”

“Lo trovo inquietante!” Borbottò Adam.

Sarah sbirciò il volto dell’amico per un istante e non rispose, proseguendo la copiatura del compito:

“Non capisco nulla di questo problema. Se Mardok dovesse chiedere spiegazioni non saprei fornirle.”

“Devi solo applicare le formule, tutto qui.”

“Le formule le ho imparate tutte a memoria ma non so come usarle. Hai ragione: mi beccherà! Che mi importa, non sarò mai una matematica.”

“Hai già pensato quale facoltà sceglierai? Io mi iscriverò a ingegneria spaziale, ho deciso.”

“Non so… forse letteratura. Escluderei materie scientifiche, le odio.”

“Letteratura? Sarai messa a revisionare gli archivi anagrafici di Biblos. Che perdita di tempo.”

“Perché? Magari insegnerò.”

“Nessuno vuole studiare letteratura, non serve a niente. Perché non scegli medicina? Avresti la possibilità di uscire dalla tua sfera. Come gli ingegneri spaziali. Non vedo l’ora!”

“Non mi interessa molto uscire dalla mia sfera, sto bene dove sto. Ora devo chiudere il collegamento, ci vediamo domani.”

“Ciao Sarah, a domani.”

“Grazie.” Mormorò pensierosa.

La madre di Sarah chiamò la famiglia per la cena. Il robot aveva servito cosce di pollo arrosto, verdure lesse e patate al forno; frutta fresca; leggero dessert; caffè allungato per gli adulti. Sarah cenò stranamente in silenzio, assorta in pensieri personali che non avrebbe condiviso con la famiglia. Nessuno chiese nulla. Dopo cena guardò un film in camera sua e alle 22 in punto il collegamento internet venne staccato, almeno per i giovanissimi. Osservò il cielo nero sopra alla sua testa poi lo sguardo si posò sul cassetto della scrivania. Scese dal letto, i passi attutiti dal linoleum che assomigliava ad un parquet in ciliegio, cercò la chiave finita nel fondo del portapenne, la inserì e girò in senso antiorario. Clic. Il cassetto si aprì. Mise una coperta sulla testa e accese il led portatile, se avessero scoperto che una quindicenne fosse stata ancora sveglia alle 22,30 avrebbero mandato una ispezione a casa sua e multato la famiglia. Estrasse il cassetto in tutta la lunghezza, rovistò tra le cianfrusaglie accumulate, sicuramente non da lei. Ricordi. Ricordi che qualcuno voleva inserire nella sua mente. Alzò il fondo e ne estrasse una manciata di fotografie a colori. Colori un po’ sfocati per dare l’idea del tempo passato. Sarah pensò che in fondo non fosse trascorso così tanto tempo da rendere le fotografie sbiadite. Le osservò con attenzione ponendole sotto la luce del led. Una donna, non più giovane teneva in braccio una bambina di pochi mesi e sorrideva all’obbiettivo. La stessa donna, con la stessa bambina in braccio e un uomo con i capelli grigi erano intenti a sorridere alla piccola, tenendosi abbracciati; sullo sfondo una collina, una campagna anonima, avrebbe potuto essere ovunque, il cielo di un azzurro pallido, qualche nube sparsa qua e là. Altra fotografia. La donna teneva in braccio la bambina un po’ più grande, forse 18 mesi. La bambina indossava un vestitino rosso scuro, un cappellino di paglia bianco in testa, allacciato sotto al mento, la donna sorrideva all’obbiettivo. Altra immagine la donna teneva la mano di una bimba di circa tre anni, vestita di azzurro, i capelli biondi legati con due nastrini dello stesso colore dell’abitino. Un uomo. Questa volta aveva in braccio un bimbo di circa un anno e la bambina gli stava a fianco imbronciata, guardando verso sinistra, lo sguardo contrariato. Altre fotografie: genitori, nonni, zii, Noha, lei e Noha, lei con mamma… Scorse velocemente indietro le immagini: qualcosa non tornava. Le fotografie con i nonni: osservò meglio, avvicinando il led il più possibile, cosa non andava? I paesaggi erano mutevoli: la campagna, una piazza, una fontana; vestiti diversi, colori pallidi eppure qualcosa non la convinceva… Le nuvole! In tutte le fotografie le nuvole erano sempre le stesse, sempre allo stesso posto! Che scherzo era mai quello?

Prese le fotografie e le inserì dentro ad una busta, facendo attenzione a tenere sempre la coperta in testa, le infilò dentro alla tasca segreta della divisa scolastica, spense il led, ripiegò la coperta e si infilò sotto alle lenzuola. Erano le 23.45.

Alle ore 7.30 la sveglia suonò. Sarah aprì gli occhi e guardò il cielo scuro, immutato, restò ancora qualche minuto a crogiolarsi nel caldo tepore della coperta poi decise che sarebbe stato meglio alzarsi. Sbadigliò entrando in bagno, si lavò, indossò la divisa e raggiunse la famiglia in soggiorno. Digitò il codice sul robot che, qualche minuto dopo, servì latte bianco scremato e corn flakes al cioccolato, uova strapazzate e bacon, macedonia con yogurt. Raggiunse il resto della famiglia, sedette a tavola e iniziò svogliatamente a mangiare.

“Qualcosa non va, signorina?” Chiese suo padre, guardandola sospettoso.

“Ho sonno.” Rispose la ragazzina.

“A che ora ti sei addormentata ieri sera?” Indagò la madre.

“Tardi, non riuscivo a dormire.”

“Dovrai comunicare al dottor Foster questo disturbo, è possibile sia dovuto alla terapia. Non voglio che tu perda ore di sonno. È molto importante riposare alla tua età.”

“Va bene.” Mugolò sbadigliando.

“Bene” disse il padre “mi congedo e vado a lavorare nel mio studio.”

“Buona giornata a tutti! Vado a collegarmi con l’ufficio. Fate i bravi ragazzi!” rincarò la madre.

 

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