Giovedi. Di settembre. Non si vedeva luna e pioveva. Lanciavo sigarette ancora accese come sempre. In piedi sul balcone, con quel palazzo che non voleva andar via. Si, quello di fronte, un vecchio palazzo fatto di vecchio cemento, con otto finestre, tutte diverse, tre balconi e due uffici. Non sopportavo mi stesse davanti quando sporgevo dal mio. Demenze dettate dal tempo. Chiudevo il grande finestrone in maniera ormai meccanica, quasi non mi accorgevo dei tre passi che percorrevo per rientrare in camera da letto. I cuscini erano a destra, vicino l'anta di sinistra. Poggiavo ancora l'accendino sopra il pacchetto di sigarette per non far rumore, anzi, per non scoltare quella specie di tonfo, seppur lieve. Di solito fumavo la notte, mentre scrivevo e non mi piaceva farlo al chiuso. Quel giovedi mi rassegnai all'idea di non riuscire a prender la penna e a buttar giu' due righe. Era quello, il periodo in cui, andavo a dormire tardi, molto tardi.

Il criterio per cui la conobbi e' ancora un mistero. Provai a domandarmelo spesso ma l'esito fu lo stesso. Qualche volta provai anche a non pensarci, ma con scarso rimedio al mio viverlo male. Era poco piu' alta di una carezza, mi teneva le mani con sufficienza, baciava i miei pensieri con spontaneità' , tratteneva il fiato quando doveva respirarmi. Era cio' che forse non avrei voluto o non mi sarei aspettato, cio' che rilegavo come "non potra' esser cosí", ma fu puntuale all'appuntamento. Prese il libro che mi aveva comprato. Mi fece trovare il drink preferito. Mi offri' una sigaretta. La notte passo' e non ricordo cos'altro accadde. Continuammo a vederci con cadenza settimanale.

- "ci vediamo mercoledi sera qui da me, ma non usciamo, perche' posso andare al lavoro tardi"

- "va bene, ma non potremmo andare a prendere una birra?"

La sua vita fino ad allora era stata con un altro uomo. Aveva condiviso un matrimonio, una casa, un gatto e forse un amore, tutto suo. Indivisibile come memoria divenne il legame con Lei. Mi fece paura fin da subito ma non me ne curai e mi lasciai andare. Si, lo ammetto, ero cosciente delle botte che avrei preso da questa storia, questa relazione in cui non credevo e dalla quale ero convinto non se ne potesse uscire se non con le ossa rotte.

Ma era bella. Mi lasciavo conquistare. Era semplicemente Lei, come la parola che manca ad un bel racconto. Io la trovai e per questo cominciai a scrivere.

Passarono altri mercoledi, che da li a qualche settimana divennero giovedi, poi sabato. Non fu piu' una volta ogni sette giorni.

Non che la mia vita o i miei percorsi di allora fossero stati sereni. Passai anch'io un pezzo di vita con un'altra donna. Circa dieci anni di intenso. Poi, come nelle piu' belle storie d'amore, tutto svanì in un bicchiere, finí come il Negroni che stavi bevendo poco prima e che tracanni sapendo che puoi chiederne un altro, diverso da quello pero', perche' non sarà mai un terzo esatto d'ogni ingrediente.

Brevi vite, dunque, durate piu' o meno una decade, che adesso si guardavano negli occhi e come di fronte ad un bivio si chiedevano che strada prendere.

Non era cosi' esplicita la richiesta, almeno da parte sua.

-"non ho bisogno di domandarmi a cosa vado incontro, so di certo cosa ho avuto e farsi domande adesso non serve. Viviamola con la giusta leggerezza"

Non ero del tutto d'accordo, ma feci finta d'accettare il compromesso. Almeno, quella volta. Era solo l'inizio, era solo qualcosa in cui credevo poco, mi ripetevo.

Il mio pensare, diceva, era troppo. Troppo invadente in quel Noi che poteva nascere ma non sfioriva. Se da un lato correggevo (provavo a farlo) gli errori d'un tempo, dall'altro mi ci ritrovavo immerso come in un mare senza salvagente. Ed io non so nemmeno nuotare!

I giorni trascorsero con trepidazione, mai sereni davvero. Alternavo paturnie da dieci minuti ad attimi d'intensa passione. E che passione! Iniziammo a far l'amore. Come se non bastasse mai.

-"Parlami. Non dormire adesso. Parlami". La mia supplica.

- "Cosa vorresti sentirti dire? Sembra che ti aspetti sempre qualcosa da me che non so o non posso darti". La sua sincera, gelida risposta.

Un rapporto fatto di richieste. Una stranezza cui ero abituato.

Da sempre (o quasi), in effetti, legarmi ad un'altra persona era stato un continuo averne bisogno quando lei era lontana. Un po' contorto, lo so. Era come se avendola tutta per me, fossi appagato, anche per il "dopo", quando se ne sarebbe stata per un po' con la sua vita. Ma non ero davvero appagato. Cercavo e scrutavo nei meandri del quotidiano, qualcosa che mi desse fiducia, chiedevo ancora di Lei. Ma non poteva esser sempre presente, non era normale se non in una vita convolata a nozze.

No, non era nemmeno questo cio' che desideravo.

Altre settimane, altri giorni insieme. Costruiti ed evoluti in maniera inaspettata.

Lei piu' vicina, io sempre piu' paranoico.

Cosciente di cio' che non avrei voluto, ma soprattutto di cio' che volevo, mi allontanai. Forse in maniera brusca, irruenta. Messaggi d'addio come se un domani non sarebbe mai giunto.

Non mi piaceva bere per dimenticare, mi piaceva bere.

Un venerdì pomeriggio chiamai un amico e sulla scia dello sparito entusiasmo nel vivere con "leggerezza" come chiedeva, lo invitai ad uscire. Avevo quel sano bisogno di parlare, di lanciare in mare le negatività opprimenti. Io presi il solito, lui un Long Island. Si lamento' che nel suo avessero esagerato con la Coca Cola e in effetti non potevo dargli torto. Il mio Negroni non era male. Non mise nemmeno la cannuccia quando lo servì!

Iniziai a raccontare di come ero arrivato a quel punto.

Lui mi ascoltava, credo. Provava ad interrompere l'incedere del mio discorso con i suoi pareri, ed io, stranamente, li ascoltai con interesse. Non che fossi un cattivo orecchio di fronte agli amici, non lo sono mai stato, ma in quel momento essere interrotti avrebbe potuto darmi fastidio, quella sera no.

Sfogo avvenuto. Piu' leggero mi sentì.

Altri giorni, altri attimi, consapevole che pezzi di me stavano staccandosi da lei.

Pensavo..

Non mi feci sentire, fu lei a cercarmi. Non esitai, risposi subito. Facevo finta d'esser risoluto, un po' fascista (come amava definirmi). Non aspettavo altro. Andammo avanti un po', discutemmo ancora di noi, delle birre da bere, del viaggio, quel viaggio che divenne una scusa. Sembrava esser tornato tutto normale, lo divenne. Fu normale vivere tra i miei alti e bassi, lei che si avvicinava alla sera e quasi spariva al mattino. Normale, come due che si cercano e sanno dove trovarsi.

Non so quanto tempo e' passato da quel giovedi , ma siamo ancora alla ricerca di un equilibrio spontaneo, tra l'incessante volersi e lo stupido tormentarsi. Io provo a dar forma alle mie espressioni piu' belle, lei, ancora scompare al mattino....

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