Capitano
La navigazione in questo mare interiore è molto difficile.
Ci barcameniamo spinti da venti terribili, da correnti nervose.
Fuori c’è calma piatta, tutto tace, tutto attende.
Tempesta e calma piatta sono difficoltà opposte.
Lo stato delle cose ci costringe alla solitudine.
Siamo soli.
Soli con i nostro corpi.
Soli con i nostri pensieri.
Desideri, sogni, speranze, isolati nella mente, isolati nella memoria del tempo precedente a quello sospeso di adesso.
Il coraggio, la calma, l’equilibrio, l’attesa, il respiro, il battito cardiaco.
Tutto da rimodulare, tutto da riadattare.
Siamo isole abbandonate, connesse dalla tecnologia.
Le nostre presenze fisiche sono diventate video imperfetti.
Le nostre voci sono diventate segnali disturbati, vanno lontano, vengono da lontano.
Gli abbracci sono finiti.
Consegniamo baci a una telecamera e all’aria ferma delle celle in cui abitiamo quest’isolamento forzato.
Il desiderio dell’oltre questa condizione, prende forma in uno spazio ristretto, in un tempo indefinito. Misureremo la dimensione del coraggio al termine di quest’avventura. Non ci resta che attendere con calma la sua fine.
Non ci resta che immaginare i fondali di questo mare, abitati da esseri viventi sorprendenti, egoisti, individualisti, prede, predatori.
Nessuna coscienza nessuna compassione, nessun senso di colpa, nessuna paura.
Ammiriamo la natura degli esseri acquatici, il modo in cui si muovono, cacciano, catturano, nuotano in branco, si separano da esso per sperimentare, per andare a morire.
Ammiriamo il volo dei Gabbiani che veleggiano, sfruttano le correnti ascensionali. Il loro bianco estremo, alla luce, diventa luccichio, quasi argento.
È stato difficile comprendere mio padre, imparare la lotta confusa ed eterna tra la poesia delle cose belle e il timore che queste riempissero troppo una vita che da bambina sarebbe diventata adulta.
Non è stato semplice diventare ingranaggio.
Non è stato semplice compiere il proprio giro insieme a quello di altri ingranaggi, portando con sé amore e poesia.
Le macchine dell’uomo. Poco funzionali per un tempo troppo breve rispetto al tempo del Pianeta, al tempo del Cosmo.
Le macchine dell’uomo. Miseri tentativi di organizzazione dell’autorganizzazione, nell’autorganizzazione, nel tutto organico, nel tutto complesso, anche casuale.
Il Cosmo si auto-organizza ciclicamente all’infinito.
Nella ricerca razionale della perfezione l’uomo sbaglia, non è Dio.
Siamo sospesi.
Siamo in attesa della fine di questa calma piatta apparente.
Siamo in attesa della fine di questa tempesta che ci sbatte a destra e a manca.
Attendiamo che la vita riprenda il suo vento.
Ci lasciamo andare contro l'onda fin dove è possibile.
Controlliamo la rotta, contattiamo la volontà, rinforziamo l’intenzione. Dobbiamo farlo.
Riusciamo a navigare, l’azione è fatta di tentativi.
Proviamo a imprimere la forza giusta, contrastiamo il mare in tempesta, facciamo in modo che il timone non si rompa.
Talvolta ci lasciamo trasportare dall’onda, che sia quella giusta o quella sbagliata, poco importa.
Con naturalezza, con una carezza, con uno schiaffo.
Ci lasciamo andare.
Lasciarsi andare senza lasciarsi vivere.
Dobbiamo navigare verso Itaca
Dobbiamo andare a Itaca se lì non siamo mai stati.
Dobbiamo andare a Itaca se lì stiamo ritornando.