Marcinelle u me tabbutu!

 

Unnè a me terra? Piddigrinu fui,

unni nascii non potti ristari,

a campagna sicca non mi dava manciari

u travagghiu nun c’era, a miseria cumannava.

Figghiuzzu miu spatriari devi, così mi dicia me nonnu

e appena u guvernu ci dissi che  in Belgio a Marcinelle putia iri,

a valigia di cartuni mi fici e su un trenu scassatu

u viaggiu cuminciai.

U me suli non c’era, u celu sempre niuru era,

a me casa era un letto duru e lordu dintra 

a una catapecchia fridda.

U me cori chianciva ma i me occhi nun lacrimavano.

Cuminciai u travagghiu, commu u griggi di pecuri

ci cuntarunu, ci detturu un piccunu, un cappedu

cunna luci supra e ci muttarunu dintra a una granni

scatula che scinnio to scuro sino a panza du munno.

Manciavu to scuru, cu nantucchia di pani e poi

ripigghiavu a scavari.

Bestia divintai, niuro commu un corvu,

lordo di carbuni e sempre u me cori chianciva.

A me consolazione era quel picca di sordi 

che risparmiavu pi ci mannari a me famigghia,

manco u companatico mi accattavo ma i me figghi

e me mugghieri putivano manciari.

Ni passò di tempo, vecchiu paria pà stanchizza

e du jornu pinsai di sittarmi pi pigghiari sciatu

e all’impruvviso tuttu si scurò e un rumuri all’inferno 

mi pricipitò.

Ristai sittatu, u sapia che a caverna era u me tabbutu

u me unicu pinseri fu: cu ci dunu ora u manciari a me figghi?

 

 

TRADUZIONE

Dov’è la mia terra? Pellegrino fui,

dove sono nato non potei restare,

la campagna secca non mi dava da mangiare

il lavoro non c’era, la miseria comandava.

Figliuccio mio espatriare devi, così mi diceva mio nonno

E appena il governo ci disse che in Belgio a Marcinelle potevo andare,

la valigia di cartone mi feci e su un treno scassato

il viaggio cominciai.

Il mio sole non c’era, il cielo sempre nero era,

la mia casa era un letto duro e sporco dentro

a una catapecchia fredda.

Il mio cuore piangeva ma i miei occhi non lacrimavano.

Cominciai a lavorare, come un gregge di pecore

ci contarono, ci dettero un piccone, un cappello

con sopra una luce e ci spinsero dentro a una grande

scatola che scese nell’oscurità sino alla pancia del mondo.

Mangiavo nel buio, con un pezzettino di pane e poi

riprendevo a scavare.

Bestia diventai, nero come un corvo,

sporco di carbone e sempre il mio cuore piangeva.

La mia consolazione era quel poco di soldi

che risparmiavo per mandarli alla mia famiglia,

neanche il companatico mi compravo ma i miei figli

e mia moglie potevano mangiare.

Ne passò di tempo, vecchio sembravo per la stanchezza

e quel giorno pensai di sedermi per prendere fiato,

e all’improvviso tutto si oscurò e un rumore all’inferno

mi precipitò.

Restai seduto, lo sapevo che la caverna era la mia bara

Il mio unico pensiero fu: chi gli da ora mangiare ai miei figli?

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