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[NdR.: Il nostro Autore si riallaccia virtualmente a "Amore nascosto" pubblicato il 11/9/'14] Si dice che la parola “amore” venga dal latino a-mors (senza morte). Così crediamo quando siamo trafitti dalla freccia di Cupido. Attraversa il cuore e simbolicamente spegne la vita. Tanto era vuota, priva di valore, sempre tormentata da un desiderio senza identità. Scopriamo allora che un altro volto, un altro nome dà ragione e passione al nostro morire. In quel momento la nostra morte muore. Offriamo all’altro questa visione e chiediamo di condividerla. Si diventa prigionieri di un sogno in cui un’eventuale nuova vita ci appare come vera, desiderabile, quella sempre agognata, quella che attendavamo d’incontrare, di vivere. Se l’altro, con regale magnanimità, elargisce un gesto, un sorriso, si resta abbagliati dalla sua luce e tutto si veste di una nuova dimensione: non è più necessario desiderare, il rifugio dell’assoluto dell’altro si materializza forte come il castello dei sogni infantili. Si deride la trasgressione e la supponenza che cominciava a fare capolino nei comportamenti si scioglie come neve al sole. Il nuovo diventa il vero. Avviene un piccolo miracolo: quella solitudine che era vissuta come una maledizione, si trasfigura nella necessaria preparazione per l’incontro. La passione rade ogni ostacolo e relega la ragione a uno strumento consunto di raro uso. Si costruisce la vita su una personale idea di felicità che incontra la condivisione dell’altro e si decide di sacralizzare il tutto nell’unione, nel condividere e nell’affrontare l’ignoto della vita in due. Abbiamo paura ma non vogliamo riconoscere che quel passo dettato dal bisogno di costruire insieme qualcosa ricco di valenza inconoscibile, inquieta le nostre notti. Nasce una nuova consapevolezza: la costanza e la sicurezza nell’altro ci danno altri obiettivi di vita da costruire dentro di noi. Si ammortizzano alcune differenze di genere e si creano insoliti paradigmi di relazione. Piace la “rocca” costruita giorno per giorno un po’ per difenderci, un po’ come monumento alla nostra illusoria sicumera. Il tempo passa: Cupido non è più. Allora il mondo sparito dai nostri orizzonti, si riaffaccia, reclama da noi partecipazione, responsabilità. Scopriamo che è pieno di contraddizioni, egoismi, malignità e tentazioni. Urge ricorrere a nuove difese per garantire la nostra sopravvivenza, dare sicurezza all’altro, difenderlo: lui che è l’attore principale al centro del nostro palcoscenico. Entra in scena il “sacrificio” cioè la determinazione a rendere sacro ciò che non ha alcuna ragione di essere tale. Si alzano barriere intellettuali o comportamentali per ritualizzare piccole quotidianità che hanno il solo privilegio di essere per loro natura precarie e provvisorie quindi sopprimibili o cambiabili. La convinzione di essere nel giusto e quindi di avere il “dovere morale” di lottare, si radicalizza. Nessun dubbio o ostacolo ferma. Soprattutto l’ansia per l’altro, per garantire continuità, diventa incontrollabile. Si pongono quindi in essere piccole azioni di “polizia” che hanno lo scopo di prevenire devianze di ogni tipo, controllare l’affidabilità di nuove amicizie e la conservazione delle vecchie. Si delimitano con maggior incisività gli spazi di autonomia individuale il tutto all’ombra protettiva di una maggior serenità di relazione. Inconsapevolmente, nella piena convinzione e nella serena coscienza di fare del bene, si colonizza l’altro. Siamo pieni di batteri che attuano questo dispositivo rilasciando nell’organismo sostanze utili al nostro vivere. Il tutto si regge su un equilibrio delicato. Quando s’incrina, danni e dolori si sommano. Proviamo ad immaginare qualcosa di simile mettendo però da una parte emozioni e sentimenti e dall’altra la capacità umana di relazionarsi con gli altri non cercando alternative ma solo la pluralità nell’essere. Probabile e possibile entrano nella quotidianità. Arriva la paralisi: si bloccano le connessioni con il resto del mondo e si crea il registro delle certezze e delle falsità. Poiché il genere umano non può conoscere la verità, manca il riferimento di fondo. Si tenta di estendere la sacralità sino ai processi decisionali dell’altro provocandone la decisa ribellione. Parole sconosciute entrano nel vocabolario comune. Gesti duri, lesivi se non della dignità quanto meno dell’armonia creata negli anni, compaiono a volte improvvisamente. Il blocco può diventare irreversibile, distruggere personalità e unione ma l’istinto di sopravvivenza consiglia di arrendersi. Se si ha la forza e la possibilità di aspettare, possono ricomporsi valori perduti come la spontaneità, la disinvoltura o una nuova, diversa forma di sincerità. Il tutto affinché possa ritrovare linfa quel sentimento di cui si crede di avere solo ricordo. Non si è mai persa la fede in esso: aveva solo bisogno di un’altra possibilità. Non ci chiede di tradire ma di guardare l’orizzonte con innocenza. Si scopre allora che dedicarsi alla valorizzazione di uno sconosciuto prossimo spezza la spirale perversa della prigionia e della ritualizzazione, ci costringe a guardare l’esterno e a confrontarci. Regala libertà e insieme consapevolezza dei nostri limiti. Ergo c’è un nuovo, sconosciuto giorno che ci attende.
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