Perché sono qui?
Io non dovrei essere qui. Io non voglio essere qui. Sono stanco, mi bruciano gli occhi, mi fa male la schiena e non ce la faccio più. Ho così poche ore di sonno che mi vengono le allucinazioni. 
Perché sono qui? Io, che amavo tanto dibattere nella mia classe, parlare di cultura, di arte, di letteratura. Io, che ero tanto elogiato dai professori, dai miei compagni, dalle persone; studente modello, mente prolifica e fertile.
Io che stavo lavorando per crearmi un futuro, qualcosa di solido sulla quale erigere la mia esistenza.
Perché sono qui? -Ah! Ora ricordo!-
Papà ha perso il lavoro. La ditta dove lavorava non è più riuscita a pagare i fornitori ed hanno chiuso. Si, ora ricordo. Era tornato a casa distrutto, quasi in lacrime. Lo conosco da ventitré anni e non l'avevo mai visto tanto sconvolto, tanto abbattuto. Si vergognava. Quella sera, quando ci diede la triste notizia, gli vidi gli occhi umidi. Scomparve nella sua stanza e lì rimase, in silenzio o quasi, per tutta la notte. Il giorno dopo era già in cerca di qualcosa, ma che cosa? Cosa? Chi ti prende a lavoro quando hai cinquant'anni? Sei troppo vecchio per rinnovarti, troppo giovane per alzare la bandiera bianca. 
Mamma arranca facendo lavoretti per qualche signora incompetente, di quelle che non hanno mai imparato a cucire un pezzo di stoffa, rammendare un paio di pantaloni o fissare un bottone. Tira avanti così, uscendo qualche soldo, ogni tanto.
Gianluca ha quindici anni, eppure anche lui ha dovuto mettersi in cerca di qualcosa da fare. Papà si vergognava di chiederglielo ed ho dovuto farlo io, cercando un mezzo non troppo invadente di spiegare ad un ragazzino che siamo in rosso, che deve rinunciare alla spensieratezza della gioventù, accollandosi una parte del peso della famiglia. Dovrà andare a scuola, lavorare da qualche parte, e non potrà neanche godere dei frutti del suo impegno. Oggi mi sono svegliato prima di tutti, come al solito, ma son sicuro che anche papà è uscito di buon ora, alla ricerca di qualcosa. Qualunque cosa.
Ci siamo venduti la macchina per far fronte alle spese, così ho preso la bici di Gianluca e sono uscito di casa. Era ancora buio e qualcuno era sulla via per rincasare.
Perché sono qui?
-Ah! Già, per quello!-
Non ce la facciamo più, i soldi non bastano.
Ed ho dovuto lasciare. Ci ho provato per poco ancora, ma non ci sono riuscito. Troppo stremante, troppo pesante. Non mi lasciano un giorno libero nemmeno per dare gli esami in facoltà.
Dicono che se mi assento, dal giorno dopo posso anche non venire più.
E pensare che mi mancavano appena quattro esami per diventare architetto...
Ed invece, eccomi qui. Ho trovato lavoro in una fabbrica dove dichiariamo di fare otto ore al giorno e tante ce ne pagano, forse meno. Ne facciamo dodici, in realtà; anche più, quando c'è lavoro. In dieci facciamo il lavoro di quindici. Con me ci sono tanti altri casi umani, tanti altri disperati: miscellanea di tutti coloro che non avevano più nulla da perdere nella vita, di tutti coloro che potevano obliterare la loro esistenza, dedicandola ad un lavoro per la quale non sono tagliati né interessati, ma che, almeno, dà da mangiare a loro e alle loro famiglie. Sono uomini e donne che hanno scelto di annullarsi, di vivere solo lavorando, dormendo, mangiando. Senza più uscire, senza più allontanarsi da casa, senza più nulla che renda la vita degna di esser vissuta.
Lo fanno per amore delle loro famiglie. Ed anch'io.
Purtroppo, io qui mi sento un uccello in terra di gatti. Io, che tanto amavo dibattere, discutere, parlare. Io, che tanto amavo la musica, l'arte, la letteratura.
Se qui parlo, mi viene urlato addosso di tacere e pensar a menar le mani.
Io, che come me ce ne sono tanti altri, qui in Italia: menti sacrificate, sprecate.
Perché sono qui? Io non dovrei essere qui.
Mi scoppiano le mani, mi fa male la schiena, ma se tanto lo do a vedere, mi urlano addosso, mi cacciano e mettono uno più sfortunato di me.
Sempre che ce ne siano.
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