“Perché?”…?

Be’, prima di rispondere a questa domanda devo parlarle un po’ di me.

Sono un uomo senza grandi gioie o dolori, senza grandi passioni o drammi esistenziali; normale insomma. Abbastanza civile, cerco in buona fede di fare attenzione non solo a me stesso ma anche al prossimo.

Mia madre mi ha insegnato a lasciare il posto in autobus alle persone anziane e mio padre mi ha addestrato a togliermi il cappello quando saluto una signora. Io non porto mai cappello, ma credo di essere stato sempre educato, anche la volta che quella donna anziana sull’autobus al mio gesto di lasciarle il posto ha risposto seccamente: “Non sono ancora abbastanza vecchia!”

Non senza fatica riesco ad aggirarmi in un mercato affollato senza mai spingere nessuno: quello che non capisco è perché tutti spingano me. Camminano come se io non esistessi, come fossi uno spazio vuoto da attraversare, mi montano sopra i piedi e neanche chiedono scusa.

Le donne in questo sono le peggiori: con una falcata da pantera la signora in carriera esce dal bar mentre io sto entrando, e senza neanche rivolgermi uno sguardo di sfuggita mi costringe ad arretrare per non essere travolto. Io sono ben educato, lascerei volentieri il passo a una signora, non se la stessa lo pretende però.

In auto gli altri guidatori ti tagliano la strada anche quando non hanno la precedenza, costringendoti a frenare improvvisamente.  I più ipocriti poi passano ringraziandoti con un gesto della mano, come se ti avessero lasciato scelta e tu avessi optato per lasciarli passare, quando invece se non ti fossi fermato di botto gli avresti sfondato la fiancata. Forse per questo ti ringraziano, per non avergli sfondato la fiancata, per non aver reagito alla loro protervia.

Tempo fa ero dal fornaio, in coda alla cassa, e a una ragazza, che armeggiava con il borsellino alla ricerca di spiccioli, cadde l’ombrello.  Io prontamente lo raccolsi, nonostante avessi in quei giorni un brutto mal di schiena, e glielo porsi. La ragazza neanche mi guardò, borbottò qualcosa che credo fosse un grazie, e continuò a fare gli affari suoi, lasciandomi lì con il suo ombrello in mano in attesa che lei si degnasse di prenderlo. Glielo avrei dato volentieri in testa, invece mi limitai a dirle un perentorio “prego” con il tono più secco di cui sono capace. A quel punto la fanciulla, senza mai poggiare lo sguardo su di me, sbuffando ha allungato la mano per liberarmi con malagrazia dall’impaccio del suo ombrello.

Una volta in un bar affollato ero appoggiato in un angolo del muro a bere la mia birra e un ragazzo si è letteralmente appoggiato a me continuando a chiacchierare con l’amico. Il tipo era grande e grosso e io avevo il suo giaccone di pelle appiccicato al mio naso, tanto che potevo sentirne l’odore, e pensavo che da un momento all’altro se ne sarebbe accorto e si sarebbe scansato. Invece no, continuava a chiacchierare. Allora ho alzato un braccio e gli ho fatto “toc toc” su una spalla, dicendogli che dietro di me c’era il muro e che non mi era possibile andare oltre. Il ragazzo voltò appena il capo, senza arrivare a guardarmi, e dicendo con fastidio “oh, scusa, non ti avevo visto.” si è spostato di circa quindici centimetri. Devo ringraziare il buon Dio che mi ha dato un fisico minuto, altrimenti penso avrei passato la vita in galera per rissa.

Alla posta o in banca c’è sempre il furbo di turno che entra e fa finta di non vedere la coda chilometrica in paziente attesa, dirigendosi sicuro verso lo sportello, e se viene redarguito dalla folla inferocita, si volta con lo sguardo più ebete e innocente del creato dicendo: “Ah, c’è la fila?”. Non so, pensava fossimo lì riuniti per una festa, una manifestazione politica, un happening…?

Sul traghetto per le isole, il quindici d’agosto, non c’è un posto libero a sedere e le persone sono abbarbicate una sull’altra come fossero emigranti del secolo scorso, tutti sudati, tutti rossi, tutti stanchi, ma una signora sul posto vicino al suo ha tranquillamente poggiato le sue borse e parla ad alta voce al telefonino, incurante di vecchi e bambini traballanti sui marosi.  Allora io mi avvicino e con fare garbato le chiedo se le sue borse siano per caso stanche, e lei prima di spostare infastidita le sue cose, mi guarda come se le avessi dato della troia, cosa che in realtà avrei dovuto fare, buttando le sue borse a mare insieme a lei.

La gente è impazzita, ecco perché.  Non c’è più misura, sembra non esserci fondo al fondo, siamo davvero sulla nave dei folli.

Basta accendere la televisione per rendersene conto. Tutti urlano. Sempre. Gli unici che non strillano sono quelli delle previsioni del tempo. Tutti gridano e nessuno ascolta, neanche l’ascoltatore a casa, che non riesce a capire una parola degli intervenuti. E così la gente ha imparato a strillare, per qualunque cosa.

Sono stato in Francia, su una spiaggia con centinaia di famiglie con bambini da tutto il mondo, e non ho mai sentito urlare “Jaques” o “James” o “Jacob”, solo e soltanto “Giacomooooo!”.

Cercate di passare una serata intima in un ristorante, voi e il vostro amore, a lume di candela, a parlare dei sogni, dei progetti, a sussurrare parole dolci che leniscano il dolore della vita. Non è possibile: al tavolo vicino ci sarà sempre la signora che racconta all’amica i tradimenti del marito ad alta voce, che tutti sappiano che razza di uomo è, anche voi che neanche lo avete mai conosciuto. Oppure c’è la compagnia di allegri bontemponi, dove c’è sempre quello che urla più di tutti, il clown della compagnia, che vuole essere simpatico a tutti, anche a voi che non lo avete mai visto.

O al limite c’è la famigliola in festa, con bimbi urlanti e genitori che nel tentativo di farli tacere urlano più di loro.

E a teatro? La gente scarta e mangia rumorosamente caramelle e commenta l’azione  ad alta voce, come se fosse nel salotto di casa propria davanti alla televisione, e c’è sempre l’idiota al quale squilla il telefonino, e l’idiota non lo trova, e quando lo ha trovato, mica lo spegne, no, si alza, disturbando tutti, e va fuori in corridoio a chiacchierare. Lo stesso al cinema, ma almeno lì la pellicola va avanti come sempre, incurante dell’accaduto. Non così a teatro dove il povero attore sul palco perde il filo o quantomeno la concentrazione. Ma all’idiota non interessa, neanche se ne accorge, e dopo un po’ torna a sedersi come se nulla fosse.

Ho visto una donna uscire da un parcheggio buttando a terra con la sua incauta manovra un motorino, e andarsene come se nulla fosse.

Ho visto un uomo aprire la portiera dell’auto e svuotare per strada il posacenere e tutte le tasche del suo abitacolo come se nulla fosse.

Vedo gente che appena la metropolitana apre le porte si butta dentro senza far uscire chi deve scendere, come se nulla fosse.

Vedo ragazzi armati di zainetti spintonare per strada vecchietti come se nulla fosse.

Allora io mi sono comprato il mitra e, come se nulla fosse, ho sparato sulla folla.

Ecco perchè.

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