Un pomeriggio, era domenica, alla mia porta in ospedale si affaccia uno dei tanti in camice bianco.
Capelli cortissimi e grigi, naso importante, sguardo limpido.
Sorride. Premurandosi di non essere  invadente.
Quasi senza voglia di piacere a tutti i costi.
Misurato nei gesti infonde nell'aria una piacevole sensazione rassicurante.
Appena inizia a parlare riconosco la dolcezza dei suoni della mia infanzia, quella intonazione calda, affettuosa, quelle vocali strascicate, quel profumo di mamma.
Sono troppo triste per ascoltare ciò che dice. Fingo di leggere qualcosa per non incrociare i suoi occhi. 
“Lasciatemi qui!” urlo dentro  di me.

Mi sento  come un giocattolo rotto caduto in fondo al cesto e nessuno allunga la mano per  giocare con me.

"Lasciatemi qui" vorrei gridare al mondo intero.
Il giorno appresso, alla stessa ora ritorna. E io continuo  ostentatamente a tenere basso lo sguardo.
Il  pomeriggio seguente lo aspetto, ma non viene.
Sono sollevato!
E incuriosito. Ma in fondo anche un po' dispiaciuto di non averlo incontrato.

Mi alzo e lo cerco in corridoio.
Lo incrocio. Sta per uscire. Si sfila una sciarpa viola.
È… sì… sì è un prete!
Il fatto mi inquieta un pochino.

"Tra qualche giorno uscirò di qui. Tornerò in una casa in cui nessuno mi aspetta". 
Sono un fiume in piena, le parole gliele butto in faccia.
Mentre senza sosta lo investo con le mie emozioni scomposte. Provo  imbarazzo e pietà per me stesso: dove è finito il mio disprezzo per la chiesa, dove è la spavalderia che i miei soldi mi procuravano?
Sono qui, piagnucolante come uno sfigato qualsiasi…
Seduto su una sedia di plastica scomoda, come solo quelle fabbricate qualche decennio fa nell'austera DDR riuscivano ad essere, senza pudore scaglio il mio pianto contro quest'uomo dagli occhi miti che mi accoglie con il  suo sguardo empatico.
La postura e i gesti, che ho imparato a decodificare seguendo vari seminari sul linguaggio non verbale, mi confermano.

Non ha fretta. È qui tutto per me...

"Padre, la mia è una storia che avrà ascoltato mille volte: uno sprovveduto, cioè io.

Ci aggiunga una moglie riempita di mille attenzioni e di doni costosi che mi mette le corna con quello che, sin dai banchi delle elementari, era il mio amico di sempre! L'unico che mi ero scelto come socio in affari.

Praticamente io, ignaro di tutto mi sono ritrovato dalla mattina alla sera estromesso dalla società che io avevo creato e diretto, cacciato da casa mia e miseramente ricattato da mia moglie e dal suo amante per un vecchio affare un po' controverso in cui mi creda, padre, io ero la vittima piuttosto che il colpevole!

Ho vissuto vent'anni di inferno in cui ogni giorno sognavo di vendicarmi.

Ho lavorato giorno e notte per riprendermi tutto quello che era mio e mi era stato tolto.

Alla fine ci sono riuscito. Proprio come uno squalo li ho divorati.

Prima li ho mandati praticamente sul lastrico. Poi è stato facile metterli uno contro l'altro e ho brindato quando ho saputo che si erano lasciati.

Neanche il tempo di capire come godermi la mia vita da vincitore, che mi sono svegliato qui in ospedale, per due mesi sospeso tra la vita e la morte. E nelle lunghe ore delle notti insonni in terapia intensiva ho capito quanto mi sia costato distruggerli.

Per anni ho sognato la mia rivincita, ho sacrificato tutto me stesso nella mia personale guerra a quei due farabutti avendo la vendetta come mio unico scopo, il rancore come mia unica forza.

Per me erano l'incarnazione del diavolo sulla terra. La pena inflitta ad un innocente. Per anni e anni mi dicevo: quando avrò giustizia, quando il bene trionferà sul male, allora, solo allora penserò a me. 

Solo allora meriterò di ricostruirmi una vita… magari trovarmi una compagna. Semplicemente pensavo di poter avere più tempo… mi bastava il tempo necessario…

Ero abituato a comprare tutto, non pensavo di non poterlo fare anche con il tempo".

“E ora come ti senti?" mi chiese lui guardandomi negli occhi.

"I medici dicono che sto bene ma io mi sento vuoto. Anche l'odio mi ha abbandonato. Sono solo e stanco. Perché, padre, nessuno è venuto a trovarmi? Nemmeno i miei figli? Che siano maledetti anche loro… se muoio non gli lascio nemmeno un centesimo. Sempre con quella strega della mamma… eppure ne ho cacciati di soldi per loro…"

Nel piccolo atrio in cui ci eravamo sistemati l'ascensore si aprì e ne uscirono due infermieri in divisa e il più vecchio fece rivolto al collega: “Dammi centomila euro e ti faccio vedere come divento felice".

“Ti facevo più saggio” ribatté l'altro con un marcato accento napoletano.

E mentre quei due tizi scomparivano giù per le scale mi rivolsi al sacerdote dicendo, rinfrancato in cuor mio dal valore che finalmente qualcuno riconosceva al danaro: "Vede padre, siamo tutti in vendita. Abbiamo tutti un prezzo".

“Non appena esco mi compro…”

Non feci in tempo a finire la frase che sentii come un colpo sordo alle orecchie e caddi dalla sedia.

L'ultimo ricordo: una fitta al centro del petto.

No, non sono riuscito a scampare alla morte anche questa volta.

È stato lieve il passaggio.

Ho intuito che avevo la possibilità di salutare qualcuno che mi era  particolarmente caro… ma semplicemente non sapevo da chi andare…

Nessuno mi ha rimproverato ma ho capito di aver sprecato tante occasioni nella mia vita.

Mi è stata data l'opportunità di vedere come sarebbe andata a finire se non avessi mai lasciato la mia fidanzatina del liceo, e mi si è stretto il cuore per tutto il bene che ho perduto, per tutta la felicità che non ho vissuto.

In un lampo ho visto come sarebbe stata la mia vita se avessi fatto altre scelte, se avessi per una volta almeno messo da parte l'ambizione smisurata che mi tormentava ogni giorno… quante occasioni perdute, quanto male inflitto agli altri dalla mia superficialità…

Ma non ho temuto nemmeno per un attimo che il rimpianto fosse la mia pena, perché dove mi trovo adesso, non ci sono condanne da espiare.

Vago tra gli astri avvolto da un abbraccio tenero d'amore che mi ha reso, fluttuante tra i mondi, etereo e trasparente come un bicchiere di vetro finalmente pulito dentro e fuori.

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