In alcune sere di primavera una leggera pioggia insistente si accanisce contro le finestre.
Una goccia si posa, tentenna, cerca una compagna. Quando la trova diventa più grande, scende rapida e disegna un righino sulla superficie fino a sparire.
Così per migliaia di gocce, fino a che non smette. L’indomani troveremo al suo posto un residuo appena visibile, asciugato dal sole nascente, e vedremo sul verde del prato lo scintillio dell’umidità rimasta sulla sommità dell’erba. Negli angoli all’ombra le piccole pozze che alimentano le aiuole delle calle, mai abbastanza dissetate e che solo grazie alla frescura diventano tanto bianche da abbacinare. E il merlo, che corteggiando zompetta sul verde, piluccando quella che fu pioggia.
Ma intanto piove. Piove chioccando sulle lamiere e nelle tubature. Piove ostinato e io cerco il sonno dopo aver ingollato un flacone di benzodiazepine.
Ho questa tattica. Mi tolgo di dosso le coperte fino a sentire un freddo intenso. Poi mi rinserro sotto le coltri e il tepore mi dà uno stordimento che mi illude di sonno. Ma dopo un primo sbandare, eccomi di nuovo con gli occhi aperti, attento a tutto: i rumori, i pensieri, il battito del cuore che a quell’ora diventa spesso l’unico rumore disponibile, martellante, stordente. Cerco di non pensare: ascolto un abbaiare remoto di cane. Immagino il suo piccolo cortile, la sua cuccia al freddo; al caldo privilegiato di cui godo io. Ho tanti privilegi invero: non quello del sonno.
Il pensiero del cane si dilata. Vedo una strada stretta e io, bambino, che cammino all’indietro, non perdendo per un attimo di vista la torma di cani che mi viene incontro.

Ho il fiato corto, non riesco a pensare. I cani latrano nella mia direzione, sicuramente sarò sbranato. Ma ecco che un fischio, un forte battere di mani, delle urla li scacciano. Si disuniscono, qualcuno tira sassi. Tutto si fa celeste, avvolto dal fumo. E una volta che il fumo è diradato, ecco una donna dal vestito di marmo che tiene in mano una enorme bilancia di peltro, molto naive. È il regalo di nozze più brutto che ho visto in vita mia. E la mia età non è certo tenera.
È la Giustizia. Sì: deve essere la Giustizia.
Mi sveglio di soprassalto. Ho la guancia schiacciata contro il cuscino. Subito mi prende lo sconforto. Guardo l’orologio: è passata un’ora è mezza.
So per certo che, da statistiche, anche un uomo che soffra di una forte insonnia dorme almeno due ore a notte. Quindi non ho dormito nemmeno due ore! Ho nella bocca il sapore amaro della Benzodiazepina. Ho nella testa il sapore amaro della vita.
Domani non avrò nulla da fare: sono in quarantena, come i passeggeri delle navi in rada a Venezia durante la Peste nera. Questo pensiero mi rilassa. Posso guardare il soffitto per ore, stanotte. Dormirò domattina, così come dormono, pur stando svegli, milioni di miei simili.

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