Milano, Luglio 2019. Circa le 18 di sera, venerdì sera precisamente.

Gli impiegati d'ufficio tornavano a casa dopo le classiche otto ore lavorative per passare il weekend con la propria famiglia, i ragazzi per strada si salutavano augurandosi di rivedersi di lì a poco e gli organizzatori dei locali cominciavano a preparare palco e pista da ballo per l'accoglienza dell'ospite e dei clienti qualche ora dopo.

Dal mio appartamento al quarto piano si sentiva lo smog, la frittura dei ristoranti cinesi sul bordo della strada e l'odore d'erba che era oramai altamente impregnato nelle mura della stanza, quasi come un simbolo di riconoscimento per chiunque fosse entrato in casa. I clacson sottostanti dedicati a chi non partiva dopo la luce verde del semaforo si mischiavano alle parole di chi era per strada, forse con l'adrenalina di andare a casa a prepararsi per la serata, o magari con lo sconforto di chi sapeva che avrebbe passato quella serata come tutte le altre: in casa, da solo, a mangiare e guardare serie TV su Netflix. Che per quanto possa essere piacevole non comporterà mai le sensazioni che potrebbe comportare uscire a cena con amici, ubriacarsi, entrare in alcuni locali senza neppure saperne il nome, trovare la prima ragazza carina che ci guarda, andarle all'orecchio, sussurrarle qualcosa di dolce e ritrovarsi su un balcone di un attico in centro Milano a fumare erba e ridere di stronzate dopo averla scopata, alle 4 del mattino, sapendo che il giorno dopo Milano sarebbe diventata ancor più frenetica, perché iniziava il weekend e di conseguenza la città si sarebbe riempita di turisti.

Affacciandomi leggermente potevo scorgere anche i fattorini di JustEat o Glovoo intenti a sfrecciare con il motorini e le pizze per le strade colme di semafori, per racimolare una paga che gli avrebbe permesso di continuare a lavorare ai loro progetti e di sopravvivere.

Io mi sentivo un po’ complicato da esprimere, un po’ difficile da comprendere e probabilmente impossibile da emulare. So che sarei stato a cena da solo, magari ordinando qualche panino altamente tossico per il mio fisico, consegnato da un ragazzo di corsa, che magari non avrebbe avuto neppure il tempo di chiedermi se fosse effettivamente quella la mia abitazione o se avessi effettivamente ordinato io quel cibo. La TV avrebbe coperto totalmente la mia faccia tramite il suo fascio di luce, ne avrei guardato soltanto qualche istante prima di cominciare a mangiare il panino, mentre l'illuminazione esterna naturale sarebbe stata sostituita da quella artificiale e i clacson da musica da club per discoteche intente a spillare più soldi possibili a ragazzini desiderosi di vivere la serata della loro vita.

Mi sentivo quasi parte di tutto questo sistema, proprio perché in ogni sistema o popolo che si rispetti si trovano le persone emarginate, che rifiutano di aprirsi alla società vivente magari per un eventuale rifiuto precedente. Ed è fondamentale questo ruolo, perché permette alle altre persone, intente a ricoprire altre figure all'interno del sistema, di sentirsi migliori, di poter vivere con più gusto la loro piccola ebrezza di felicità, arrivando a volte ad apprezzarla semplicemente per la superiorità nell'imbarazzante confronto con una vita da emarginato che, per forza di cose, all'apparenza sarà sempre più noiosa di una vita ricamata a mano, all'interno di un locale di plastica.

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