Amore: non voglio cadere nei luoghi comuni, anche se potrebbero aiutarmi parecchio nel tentare di definire l’indefinibile. Per questo penso che sia inconoscibile. E’ una parola polimorfa che assume accezioni diverse secondo culture, tempi, tradizioni o religioni differenti. Per alcuni periodi della mia vita è stata sinonimo di ricerca. Molto spesso conclusa con un rimando ad altro.
Mi sono letto tutto “Il simposio” di Platone nell’illusione di trovare una definizione soddisfacente, ma anche il mio amico Socrate non mi aiuta. Posso solo ricorrere all’empirismo della mia esperienza che è e sarà soltanto mia.
Con emozione provo a dire che amore è vita. Dà frutti generando relazione, si trasfigura nell’azione che esplora non più in solitudine nuovi orizzonti e ripercorre tuttavia le note comuni strade del desiderio. Può essere un tabernacolo contenente dedizione, sacrificio, integrità, sensualità a patto che possa trovare ogni giorno quella pulsione indefinibile che annulla la paura di vivere.
L’amore ci fa sognare sicuri di aver trovato nell’altro tutto quello che avevamo cercato senza trovarlo. L’altro è sicurezza: i limiti del quotidiano sono azzerati e il domani si riempirà di speranza. Vuol dire anche possedere ed essere posseduti. Nasce quindi quella fede pagana in cui solo l’altro ha la bellezza e l’incoscienza per entrare nella pazzia che si genera. Solo quell’altro può governare e nello stesso tempo trascurare. Questo caos però dà valore al mio essere nel mondo.
Si risponde a un’attrazione profonda senza menzogne. Un nuovo turbamento prende, incontrollabile e disordinato. Uno stato di sospensione cattura e sospende il realismo della vita. In alcuni momenti si ha paura e ci si chiede dov’è il coraggio per continuare anche se non si vogliono alternative.
Ammesso e non concesso che tutto questo possa essere un canone accettabile cosa succede se esiste solo vuoto tra attrazione e sguardo, se un lacerante silenzio si dispone là dove i sogni avevano creato un nido?
A 15-20 anni c’è solo disperazione. Totale, assoluta non dà tregua. Non lascia dormire la notte, attanaglia i visceri in uno spasmo, il tutto aggravato dal dileggio di amici stupidi e non stupiti ai quali non si può che augurare il medesimo trattamento moltiplicato per dieci.
Negli anni successivi l’esperienza, la supponenza danno solo un tocco tragicomico a un vuoto che non si accetta. E’ necessario aspettare che un callo composto di rabbia e speranza, non rimuovibile, si componga nel profondo. Quando è parte integrante, allora appare il nuovo che può veramente essere autorevole.
S’incomincia ad accettare la possibilità che l’amore sia vitale per se stesso, che esca dal simulacro della rappresentazione e che la condivisione sia qualcosa di mutevole. Perde l’incanto del legame risolutivo ma regala il senso del divenire, ogni giorno un po’ più nuovo e un po’ più vecchio. Che tu lo voglia o no è sempre lì, testimonia in silenzio la sua vitalità.
Allora l’amore si nasconde, gioca, è il novello arlecchino. Si traveste, cerca di essere sempre diverso ed è consapevole della propria potenza e dei danni che può causare. Diventa sempre più difficile dire “ti amo” perché vogliamo salvare qualcosa di noi per difenderci nel caso quell’amore di cui abbiamo tanto bisogno ci faccia soffrire senza pietà. Ergo, tradimento e disillusione non sono più la notte della vita ma la pallida luce di un nuovo, nebbioso mattino.