Incontrare uomini volanti non era una stranezza su Arena II. E neanche giocolieri, clown ed equilibristi.

 

***

 

Per tutta la vita Marcus aveva respirato il Circo.

 

Quello col la ‘C’ maiuscola. Quello dell’incredibile che si fa realtà davanti ai tuoi occhi, alla tua bocca che lo stupore non ti consente di chiudere.

 

Probabilmente non poteva andare diversamente ad un neonato venuto al mondo, con anticipo sul previsto, in un caravan posto accanto ad un tendone colorato durante lo spettacolo serale in un minuscolo paese di provincia.

 

Era un piccolo circo. Una compagnia di meno di venti anime che ricoprivano più ruoli ciascuna, dividendosi tra la parte artistica e le incombenze, più materiali e generiche, necessarie al funzionamento dell’attività. L’arrivo prematuro di Marcus creò un bel subbuglio. I pochi spettatori di quella sera uscirono con la sensazione di un certo disordine organizzativo e domandandosi che fine avesse fatto il trapezista spericolato di cui si parlava tanto in paese.

 

Umberto, uomo volante, in quell’occasione era rimasto con i piedi per terra e con le braccia attorno alle spalle di sua moglie condividendone ogni doglia. Quando Marcus lanciò il suo primo vagito di presentazione al mondo, lui era molto più sudato e sfinito che non dopo qualunque salto mortale mai eseguito a venti metri da terra. E anche molto più spaventato.

 

Quella sera, insieme a Marcus, arrivò la rete di sicurezza sotto ai trapezi che, fino ad allora, Umberto aveva sempre cocciutamente rifiutato. «Adesso sono responsabile di un figlio!» aveva affermato categorico tra lo stupore ed i sospiri di sollievo dei colleghi «Non si tratta più solo della mia spina dorsale. Da oggi si usa la rete!»

 

Quella rete Marcus l’aveva vissuta intensamente. Prima come luogo assolutamente vietato a un bambino, di conseguenza intensamente desiderato. Poi come grembo accogliente appena poté iniziare la scuola giornaliera con il padre che l’avrebbe portato a volare come lui da un trapezio ad un altro.

 

Una serie interminabile di tuffi involontari e di altrettanti lividi romboidali su ogni parte del corpo. «Prima di volare occorre imparare a cadere!» gli ripeteva ridendo Umberto mentre oscillava appeso a testa in giù.

 

***

 

Seduto sulla comodissima poltrona ergonomica nello spazio verde davanti al bar, Marcus vide arrivare il suo amico Adelmo. Avanzava con il naso per aria osservando i volteggi degli acrobati in alto sopra la loro testa. «È proprio uno fortunato!» sorrise osservando le molteplici possibili collisioni con i passanti evitate per miracolo grazie alla presenza di spirito degli altri.

 

Contro ogni probabilità, riuscì ad approdare illeso al tavolo senza mai aver dato la sensazione di guardarsi intorno. «Non capisco se è più efficiente la tua visione periferica o il tuo posteriore. Se continui ad ostinarti ad osservare il cielo, ignorando quello che ti circonda, prima o poi ci dovremo incontrare in ospedale.»

 

«L’inguaribile amico ottimista di sempre!» rise di cuore Adelmo, poi rivolto al cameriere: «Il solito, grazie.»

 

«Che c’entra l’ottimismo? È la statistica che ti condannerà. Basta solo che un altro distratto simile a te incroci i tuoi passi… Spero tanto di essere presente. Stai tranquillo mi prenderò cura di te. Una volta che avrò smesso di ridere e mi saranno tornate le forze!»

 

«Sapere che un amico come te veglia sulla mia sorte è davvero confortante!»

 

Arrivarono le ordinazioni ed entrambi assaggiarono le bevande colorate interrompendo la conversazione. Marcus sorseggiando osservò le evoluzioni dei trapezisti sopra di loro sempre più pensieroso. «È troppo…» mormorò infine.

 

«Ci risiamo.» Adelmo assunse un’aria di rassegnazione: «Di nuovo un attacco di ipercritica! Non va bene niente, è tutto da rifare!»

 

Marcus non rispose subito. Sul lucido viale vicino, un variopinto e rumoroso corteo di giocolieri si avvicinava annunciato dalla fanfara allegra suonata da una banda di clown argentati. Il suo sguardo si era appuntato sulle piattaforme discoidali che scivolavano silenziosamente a cinque centimetri da terra e su cui ogni musicista era in piedi, avanzando immobile senza dover muovere un passo.

 

Scosse il capo quindi tornò a rivolgersi ad Adelmo: «Ecco, appunto. Siamo arrivati al momento in cui non è nemmeno più necessario camminare. Te lo ripeto: è troppo!» Ancora prima che l’altro gli rispondesse capì dalla sua espressione che si era aspettato la sua affermazione.

 

«Sei troppo legato al passato. I tempi cambiano. È che dovresti deciderti ad uscire dalla caverna ed accettare che hanno inventato la ruota, caro uomo di Neanderthal…
Non c’è modo di tenere fermo il mondo. E a me, tra l’altro, pare che quelli, non dovendo pensare al percorso, suonino meglio! »

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