«Ce l'hai fatta?».

Leonida non rispose. Si appoggiò al muro del castrum e guardò verso l'accampamento nemico. I Goti avevano disposto i carri in cerchio. A intervalli regolari, i fuochi brillavano nella notte estiva. Sospirò, poi dette una pacca sulla spalla del giovane soldato che aveva parlato.

«Morirai» disse quello.

Leonida sospirò di nuovo. «Morirò comunque. Urino sangue da due settimane, ormai».

Il giovane si appoggiò accanto a lui, assumendo la stessa posizione. Si sarebbe detto un figlio che imitava il padre, se non fosse stato per i capelli rossi che l'elmo non riusciva a nascondere.

«Magari non attaccheremo» proseguì il ragazzo. Il vecchio soldato scosse la testa.

«L'imperatore Valente vuole prendersi tutto il merito della vittoria».

Il soldato giovane, già pallido, sbiancò. «Quale vittoria? I Goti sono più di noi e la loro cavalleria è migliore».

«Politica, ragazzo, politica. Ci sono due imperatori: Graziano in Occidente e Valente in Oriente che si odiano tra loro più di quanto non odino i Goti e soprattutto più di quanto amino noi. Ero presente alla discussione tra Valente, Sebastiano, il magister peditum, e Vittore, il magister equitum. A un certo punto Valente ha detto la cosa giusta: dovremmo trincerarci e attendere l'arrivo di Graziano, ma, al solo sentire il nome del suo rivale, l'imperatore Valente ha dato l'ordine di attacco».

«Sarà un massacro» fece il giovane.

Leonida tacque. Passò molto tempo prima che il giovane prendesse di nuovo la parola.

«Mi chiamo Ulfila» disse «Ma il mio nome non è mi è mai piaciuto. Sai come avrei voluto chiamarmi? Gaio. Ho sempre pensato che la vostra civiltà fosse migliore. Lo pensava mio padre quando oltrepassò il Danubio in fuga dagli Unni, ai tempi delle prime migrazioni. Avevo dieci anni. Lo pensavo quando entrai nell'esercito e quando dovetti e convertirmi al cristianesimo».

«Una sciocchezza, se vuoi il mio parere. Cristo, Mitra, Giove... puoi credere in quello che ti pare, ma nessun dio impedirà a un Unno di trapassarti con un colpo di spada».

Ulfila sobbalzò. Aveva sempre avuto il sospetto che Leonida non avesse abbandonato i vecchi dei – o magari non ne avesse nessuno, ma non si aspettava un'affermazione di agnosticismo così esplicita.

In teoria, dai tempi di Costantino, ciascuno poteva venerare chi voleva, ma, in pratica, le cose stavano diversamente. La conversione forzata imposta ai Goti lo dimostrava. Presto o tardi, il cristianesimo non sarebbe stata semplicemente religio licita. Sarebbe stata l'unica religione dell'Impero. Sempre che, dopo la battaglia, ci fosse stato ancora un impero...

«Pensavo che voi poteste impedirlo. Ho voluto pensarlo. Ho dovuto pensarlo quando ho visto i funzionari imperiali impadronirsi delle derrate alimentari destinati ai nuovi emigranti. “I nostri capi non facevano di peggio?”» mi sono detto «E gli Unni, loro non fanno di peggio?».

«Eri a Marcianopoli?»

Ulfila annuì. «Ero al servizio di Lupicino. Ho preso a colpi di lancia i profughi che si ammassavano alle porte della città in cerca di cibo. È stato allora che ho risentito la mia lingua per la prima volta dopo tanti anni. Da quando ci eravamo trasferiti sui territori dell'Impero, nessuno la parlava più, in famiglia. Volevamo essere come voi».

«Io sono greco».

«Appunto! Non sei un romano e sono decenni che Roma non è capitale di niente, anzi, ci sono addirittura due imperi! Però hai fatto carriera dell'esercito e nessuno ti ha chiesto da dove venissi. Perché per noi non deve essere lo stesso?»

«Ce ne sono tanti, di voi, nell'esercito. Troppi, secondo alcuni».

«Sì, l'ho sentita l'accusa» disse Ulfila sogghignando «Ci sono troppi barbari nell'esercito... presto sarà fatto solo di mercenari... magari avrete anche ragione, non lo so, ma chi di voi è disposto a farsi scannare da un Unno, eh? Quanti ce ne sono, ancora, come te?».

Leonida si staccò dal parapetto e squadrò il giovane. «Pensi di aver fatto la scelta sbagliata? Arruolarti, cioè?».

Ulfila si tolse l'elmo, osservando il campo nemico. Alla luce delle torce, i suoi capelli apparivano ancora più rossi. Se li ravviò.

«Non c'è nessuna scelta» disse «Non c'è mai stata. Non hai scelta quando scappi. E niente ti ferma».

Il vecchio soldato osservò il ragazzo. Aveva ragione: sarebbe stato un massacro. E, quel che era peggio, non sarebbe servito a nulla, anche se avessero vinto. Non avrebbero fermato i Goti. Nessuno ferma un popolo che scappa. L'antico eroe di cui portava il nome aveva fermato i Persiani alle Termopili, ma solo per un po'... e i Persiani non stavano scappando da niente, né lui era quel Leonida.

«E tu da che cosa scappi, figliolo?» chiese.

Il ragazzo sorrise. Con quel sorriso, e senza elmo, sembrava molto più giovane.

«Dalla morte. E da cosa sennò?»

La tromba suonò il cambio della guardia e, senza una parola, i due scesero dalla scolta, dirigendosi verso le tende.

Quando le raggiunsero, all'ultimo momento, prima di entrare, Leonida si fermò.

«Faccio un altro giro» disse «tanto coi dolori che ho non riuscirei a dormire».

Il ragazzo annuì e sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma non lo fece. Quando Leonida svoltò l'angolo, Ulfila era ancora in piedi accanto all'ingresso.

A passi lenti, il vecchio soldato raggiunse la pusterla che dava verso la città di Adrianopoli. Era il lato più sicuro dell'accampamento e, per questo, la meno sorvegliata. I due soldati di guardia lo salutarono. Leonida rispose assumendo la posizione marziale che ci si aspettava da lui. «Ebbene, ragazzi, ci siamo» annunciò con voce stentorea.

I due impallidirono come Ulfila poco prima. Scappare dalla morte. Già. Fino a un certa età credi che sia davvero possibile. È questo che definisce un giovane.

«Prima battaglia, eh?» sogghignò. I due non risposero. «Be', una tradizione prevede che, ai novellini la prima volta, sia dato un po' di vino novello extra».

I due si girarono l'uno verso l'altro. Era il loro comandante che stava autorizzandoli ad abbandonare il posto di guardia?

«Un sorso solo, non entusiasmatevi» fece il vecchio soldato.

Si avvicinarono a passi incerti. Leonida li guidò verso le salmerie dove prese un'anfora che passò al primo soldato, poi al secondo.

Fu questo a rivolgere la domanda che non avrebbe dovuto porre: «Vinceremo?»

Leonida strinse le labbra. «Tornate al vostro posto, ragazzi», disse alla fine.

Il vecchio li vide correre al loro posto, poi, reggendosi l'inguine dolorante, tornò sui suoi passi.

Prima di raggiungere la tenda vide, abbandonato per terra, un elmo.

Lo sollevò, notò il ciuffo di capelli rossi sotto la visiera e si rese conto che in cielo c'era più luce.

Lo ripose a terra e tornò alla tenda, sperando di poter godere delle ultime ore di sonno.

Prima di entrare, disse alla sentinella che poteva lasciar spegnere il fuoco.

Non serviva più.

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