«Che storia incredibile!», esclamai.

«Vi do un consiglio, signor Antonio: mettete del sale all’ingresso della stalla e anche davanti alle porte di casa vostra, così le janare non potranno entrare», disse la signora Parini, con l’affetto di una buona vicina di casa.

Seguii il suo consiglio e misi del sale davanti alla porta di casa e anche davanti all’ingresso della stalla. Quando giunse la notte, mi misi a letto e mi addormentai, ma verso le tre fui nuovamente svegliato dalla civetta che era tornata a cantare dentro le mura di casa mia. Afferrai il fucile che avevo lasciato vicino al letto e corsi subito fuori al balcone per ammazzarla, ma non feci in tempo ad uscire fuori che quella dannata civetta era già volata via. Sentii di nuovo il cavallo nitrire; mi recai giù nella stalla e lo vidi come la volta precedente affannato e con le solite treccine sulla criniera. Il piano della signora Parini non aveva funzionato. La notte successiva decisi di vegliare fino al mattino, se fosse stato necessario, per capire chi fosse questa janara che amava tormentare il mio cavallo. Verso le due e mezza della notte sentii dei rumori provenire da fuori, mi affacciai dalla finestra e vidi il cavallo uscire di corsa dalla stalla, cavalcato da una donna la cui sagoma mi era sembrato di riconoscere. Non feci nulla e decisi di aspettare il suo ritorno col fucile in mano. Dopo circa un’ora la vidi ritornare, sempre di corsa, ed entrare col cavallo nella stalla. Scesi rapidamente le scale ed entrai nella stalla, ma quando entrai non vidi più nessuno oltre il cavallo, stanco e con la criniera e la coda intrecciate da numerose piccole treccine. Alzai gli occhi e vidi la civetta poggiata sul finestrone della stalla. Appena i miei occhi si incrociarono con i suoi occhiacci, gialli e fosforescenti, subito spiccò il volò, ma questa volta, fui più veloce di lei, mirai bene e… pam! Riuscii a colpirla a un’ala, e la vidi cadere rovinosamente a terra. Uscii dalla stalla per darle il colpo di grazia, ma prima che riuscissi a raggiungerla, subito si rialzò in volo e ancora una volta riuscì a fuggire via. Il giorno dopo mi recai a casa della signora Parini e la vidi che aveva uno scialle sulle spalle, seppure non facesse così freddo quel giorno.

«Cosa volete, signor Antonio?» disse lei, mentre si stringeva nello scialle.

«Voglio parlarvi, signora Luisella!»

«Ditemi pure, vi ascolto.»

«Il vostro piano del sale non ha funzionato, sapete? La janara deve essere entrata dal finestrone della stalla.»

«Non posso farci nulla, signor Antonio, ora però devo andare, scusatemi, ma non mi sento molto bene», disse, mentre lo scialle che aveva sulle spalle se n’era sceso da un lato lasciando intravedere una spalla fasciata.

«Cosa vi è successo alla spalla, signora Luisella?», dissi.

«Sono caduta dalle scale», rispose.

Mi avvicinai a lei e le dissi: «fatemi vedere per favore.»

«Impicciatevi dei fatti vostri, signor Antonio!», disse lei, leggermente indispettita.

«Cosa avete da nascondere? Fatemi vedere!», esclamai tirandole via la fascia.

«Cosa fate, siete impazzito!», gridò lei, «come vi permettete!», esclamò dandomi uno schiaffo. Ma proprio in quel momento vidi che sotto alla fascia, la signora Parini nascondeva una ferita d’ arma da fuoco e nella ferita vi erano delle piume d’uccello.

«Siete voi la strega che esce di notte col mio cavallo, vero? E siete sempre voi la civetta che viene di notte a casa mia, confessate!», dissi afferrandola per un braccio.

«Cosa dite! Lasciatemi in pace!», continuò lei.

«Confessate!», gridai stringendole più forte il braccio.

«Ahi!…”, gridò lei, «mi fate male!», ma poi piangendo disse: «Aiutatemi a liberarmi da questa maledizione, signor Antonio, vi prego! Fu la signora Luciana che mi iniziò da ragazzina a essere una janara come lei. Soffro molto, aiutatemi, vi prego! Voglio essere liberata da questa maledizione.»

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