Non era particolarmente bello. 

Più lo guardava cercando di non farsi notare e più si convinceva di questa sua idea. Eppure c'era qualcosa in lui che la attraeva, una calamita dalla quale non riusciva a staccarsi. Saranno stati gli occhi di un chiaro arrendevole che sembravano stupirsi di ogni piccola cosa, o la sua espressione concentrata quasi corrucciata mentre camminava con passo deciso verso il bar dove ogni mattina faceva colazione. L'ora era sempre quella, non sgarrava mai, nemmeno di un minuto; forse, pensava, era la sua puntualità che la intrigava, insieme ai modi gentili che rasentavano la timidezza, quando entrava nel piccolo locale sempre affollato che profumava di caffè, cappuccini e brioches. Era il bar più famoso e antico della città, vicino alla fermata dell'autobus: due commesse in divisa nera e l'anziana proprietaria alla cassa che esibiva anelli d'oro su ogni dito. Un arredamento curato e semplice, un bancone che non facevi in tempo a pulire che subito si riempiva di altre tazzine e brioches; un andirivieni di mani che si incrociavano in una sovrapposizione di voci. Lui, per non intralciare, si sedeva quasi invisibile nel primo tavolino libero e osservava divertito il quotidiano rito della colazione. Certe volte guardava il telefono e leggeva il giornale, una piega della bocca esprimeva un delicato sorriso mentre rispondeva a un wozzap. "Sarà la sua compagna" pensava la signorina mora con i capelli a caschetto dietro il bancone con le tazze e tazzine a mollo nel lavandino. Quanto avrebbe voluto leggere quei messaggi e soprattutto le sue risposte. Si avvicinava al tavolo già con il caffè ristretto in una tazzina che riportava il nome del bar "Caffè Tubino". "Buongiorno, esclamava, guardandola negli occhi, sovrastando le altre voci, come sta?" Era l'unico cliente che si interessava a lei, gli altri nulla, a malapena salutavano. Rispondeva con poche parole cercando di non arrossire e  di indovinare il profumo che indossava, per poi tornare alle sue occupazioni. Ogni volta prima di bere il caffè il solito rituale che lei osservava incantata per la musicalità dei movimenti, quasi sacri. Portava la tazzina al naso ne valutava gli aromi aspirandoli, poi guardava la miscela color nocciola e il leggero strato di crema sulla superficie. Finalmente lo beveva, lentamente, gli occhi chiusi, un gusto rotondo che riempiva la bocca. Un'occhiata al  Cartier al polso, si alzava, pagava e salutava contento. "Sempre ottimo, veramente buono, perfetta anche la tostatura". Lei lo seguiva con lo sguardo dalla vetrina, elegante in abiti scuri e con la pochette in tessuto orlato che spuntava dal taschino. Solo il venerdì si concedeva un abbigliamento meno formale, jeans scuri, camicia bianca senza cravatta e una giacca blu. Usciva dal bar, percorreva a ritroso la strada acciottolata chiusa al traffico, i negozi ancora spenti e sul fondo rallentava per ammirare la maestosa  Cattedrale che si offriva al suo sguardo. 
Fu così che innamorò di lui, giorno dopo giorno, senza farci caso, senza neanche conoscere il suo nome, uno sconosciuto che ti entra nel cuore, un lampo che illumina il tuo piccolo cielo e lo stravolge. 
A volte l'amore è così, nasce per caso, per caso ci innamoriamo di persone che non conosciamo, che mai incontreremo ma che però siamo certi sono la nostra meravigliosa e perfetta metà sconosciuta. 


 

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