Mi chiedo come la Walt Disney abbia potuto pensare di dare soddisfazione alle emergenti sensibilità con una semplice abbronzatura sul viso di Biancaneve, quando invece le vere discriminate di tutte le favole sono le matrigne: sempre descritte come arpie, avide di denaro e povere di sentimenti, perché a loro nessuno ha mai pensato? Mi sarei aspettato una rivisitazione della fiaba per rivalutare anche la figura della matrigna, invece nulla; per quel poco che può valere, allora, vedo di mettere una pezza io.

 

Benchè dotata dei poteri di fata, già alla nascita si capì che per lei la vita non sarebbe stata facile con quel nome: i genitori le volevano tanto bene da chiamarla Grimilde, infatti; appena raggiunta l’età scolare fu spedita in collegio da dove tornava a casa solo per le vacanze estive, se vacanze potevano essere definite quelle passate dietro il bancone del bar di paese a servire “ombre” ai pensionati che giocavano a briscola; la misera paga, naturalmente, la doveva consegnare in casa ai genitori, e intanto contava i giorni che mancavano all’inizio del nuovo anno scolastico: sempre meglio il collegio di quelle estati passate ad invidiare i suoi coetanei divertirsi, mentre lei non aveva neanche il tempo per dormire.

Arrivata ai 20 anni rientrò definitivamente a casa e conobbe un bellissimo ragazzo del paese chiamato il “Principe” per i suoi modi gentili e nobili; i due si innamorarono l’uno dell’altra e insieme scorrazzavano felici sulla sua vecchia decapottabile azzurra; purtroppo anche Biancaneve, la ragazza più malefica del contado, figlia di un ricco vedovo ormai prossimo alla settantina, aveva messo gli occhi sul Principe e cercava in tutti i modi di intromettersi fra lui e Grimilde; conoscendo l’avidità dei genitori di lei, convinse allora il padre a prenderla in sposa dicendogli che sarebbe stata felicissima di averla come matrigna.

Il padre si presentò così al cospetto dei genitori di Grimilde per chiedere la sua mano; i due non se lo fecero ripetere due volte al pensiero di avere un così ricco genero, tra l’altro più vecchio di loro; Grimilde fu allora costretta dai genitori a rompere il fidanzamento con il Principe e sposo ben presto il padre di Biancaneve divenendo sua matrigna.

 

I rapporti con la figliastra furono difficili fin dal primo giorno, con il rifiuto da parte di Biancaneve di riconoscere alla matrigna la benchè minima autorità, né a considerare l’ipotesi di averla come amica visto che le due avevano più o meno la stessa età; Grimilde passava le giornate a rassettare casa, fare il bucato e stirare per marito e figliastra; solo alla sera trovava un po’ di riposo, quando usciva in giardino e parlava a quei buffi nanetti in gesso colorato che erano diventati condifenti dei suoi affanni, senza però poterle dare conforto perchè imprigionati nel loro corpo di pietra.

Intanto la figliastra rientrava quando e se le faceva comodo, forte dell’essere l’unica intestataria dei beni di famiglia che il padre le aveva intestato prima di convolare a nozze con Grimilde.

Biancaneve cercava di sedurre il Principe, mentre lui si struggeva non riuscendo a capire perché Grimilde gli avesse preferito quell’uomo anziano; per denaro? No, non era possibile, lei non era attaccata ai beni materiali e avrebbe sacrificato tutto per il loro amore.

Biancaneve capiva che il cuore del Principe apparteneva ancora a Grimilde e non sapeva come fare perché si accorgesse di lei; chiese allora aiuto alla matrigna perché facesse un sortilegio affichè il Principe si innamorasse di lei; Grimilde, nonostante le si spezzasse il cuore, accettò e diede a Biancaneve una mela incantata dicendole: “Un solo morso di questa mela e lui si innamorerà di te: bada bene però, l’amore è come un fuoco che divampa veloce, ma altrettanto velocemente si estingue se non viene alimentato ogni giorno.”

 

Biancaneve donò la mela al Principe che la morse e immediatamente la vide sotto un’altra luce, come la donna che sempre aveva sognato di avere al suo fianco; nel giro di qualche mese suggellarono con il matrimonio quell’amore costruito sulle fondamenta della magia e iniziarono la loro vita da coniugi.

Ma come Grimilde aveva predetto, anche il più forte dei sortilegi puo accendere l’amore, ma non farlo crescere e nemmeno tenerlo in vita.

Mano a mano che gli anni passavano il Principe si rendeva conto di convivere con un’estranea con la quale nulla condivideva; si lasciò così andare trascinandosi dal letto al divano dove passava ore col telecomando in mano e il ventre tornito dalla birra; finchè un giorno, mentre passeggiava per il bosco, vide le rovine di una dimora ed entrò; scorse in una sala Aurora, la Bella Addormentata nel Bosco, che giaveva su un letto ormai da cent’anni a causa di un terribile maleficio; rimase folgorato dalla sua bellezza tanto da non potersi trattenere dal baciarla; immediatamente lei aprì gli occhi, incrociò quelli del Principe e si innamorò perdutamente di lui; il Principe non tornò più a casa da Biancaneve che continuò ad attenderlo invano fino alla fine dei suoi giorni.

 

Grimilde invece, rimasta vedova, ricorse all’ultimo dei suoi sortilegi e diede anima al gesso dei sette nanetti in giardino; li chiamò Mammolo, Eolo, Cucciolo, Pisolo, Brontolo, Gongolo e Dotto, vivendo con loro sotto lo stesso tetto fino a diventare moglie di uno di loro.

Per il Principe le cose non andarono altrettanto bene: la Bella Addormentata parlava, parlava e ancora parlava; doveva recuperare i cent’anni durante i quali aveva dormito ed era stata in silenzio, infatti; finchè una sera, con le orecchie che sanguinavano per le troppe chiacchiere di Aurora, il Principe salì sulla sua decapottabile azzurra e fece perdere le sue tracce per sempre; si dice che si sia imbattuto in un’altra fanciulla da risvegliare con un bacio, ma che abbia proseguito per la sua strada guardandosi bene dal farlo.

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