Serena andò a trovare il vecchio pescatore. Lo trovò fermo al molo a lavorare sulla barca. Il mare era un po’ mosso e spumeggiante.
«Don Santo, vedete al mio Fuffik sono spuntate altre zampe. Adesso ne ha nove paia».

«Vieni sulla barca. Da lì dove sei non ti sento bene».

Mentre la bambina stava per salire a bordo, il cyberdog fu spruzzato dalla schiuma di un’onda un po’ più alta. L’animaletto reagì contorcendosi in modo strano e modulando le fusa con una tonalità diversa, quasi un sibilo minaccioso.

«Vedo che l’acqua non piace a quella specie di millepiedi. Se lo buttassi in mare, forse potresti liberartene una volta per tutte!».

Offesa, Serena tornò sui suoi passi. «È così carino, don Santo, anche se ha paura dell’acqua. Non voglio liberarmene per nulla e non somiglia affatto a un millepiedi!», disse percorrendo nuovamente la passerella mentre Fuffik sibilava allacciato intorno al suo collo. 

«Finirà per strozzarti, a furia di stringerti! Torna sulla barca!».

Ma la bambina si diresse risoluta verso casa, stringendo a sé il suo Fuffik, ora tornato a ronfare amichevolmente. Quella notte Serena fece sogni deliziosi, con Fuffik che le si era delicatamente attorcigliato attorno a un braccio.

Ogni quattro o cinque settimane il copione si ripeteva. Dapprima si notavano delle protuberanze crescere tra due paia di zampe dell’animaletto elettronico. Dalle queste venivano fuori due nuove zampette, prima esili e poi via via più robuste. Quando i nuovi arti si irrobustivano, i Fuffik si allungavano in accordo. Dapprima 17, poi 33 e quindi 65 paia di zampe. Aveva visto bene don Santo, i Fuffik somigliavano sempre più a millepiedi che si avvinghiavano attorno alle caviglie o ai polsi dei loro umani. Più crescevano, ormai erano diventati lunghi quasi sei metri, più mostravano fastidio per l’acqua, così che molti avevano rinunciato alla buona abitudine della doccia mattutina.

Serena era andata a trovare il suo vecchio amico, insieme con il suo Fuffik che le cingeva le spalle a mo’ di sciarpetta. 

Don Santo l’accolse con durezza: «Non ti vergogni? Non riconosco più, non ti ho mai vista così sporca e trasandata! Le tue belle treccine, così unte…». 

«Ogni volta che tento di farmi la doccia, Fuffik mostra fastidio: soffia, sibila, si agita… Mi dispiace farlo stare male, lui è così gentile con me».

«Non mi sembra una buona ragione. Torna a casa e lavati»

Rassegnata, Serena si allontana. Quando prova a entrare sotto la doccia, Fuffik cerca in ogni modo di intralciare i suoi movimenti, la fa cadere più e più volte, attorcigliandolesi attorno ai piedi. La bambina si rende conto che non va per nulla bene. Deve liberarsi di Fuffik e crede che l’unico a poterla aiutare sia don Santo. Con grandi sforzi riesce finalmente a liberare le gambe dalla stretta dell’animale sintetico  che le si abbarbica addosso stringendola alla vita. Corre e raggiunge al porto la barca del pescatore.

«Non riesco a liberarmi di lui! Aiutatemi!».

«Tuffati in acqua. Ti mollerà».

«È freddo! E poi, povero Fuffik ,non me la sento di lasciarlo così».

«Non vedi che ti sta strozzando! Altro che millepiedi, è un boa constrictor! Salta, subito!»

Serena finalmente salta. Don Santo tira fuori dall’acqua la bambina tutta intirizzita e, mentre Fuffik sibila orrendamente sulla riva, cerca di asciugarla con una coperta. 

«Non preoccuparti. È tutto finito. Adesso preparo un buon the caldo».

Ancora vicini alla banchina, notano che Fuffik si comporta in modo strano. Illuminati di un blu sinistro, gli occhi del cyberdog lampeggiano, i sibili diventano sempre più forti e modulati.  

«Non l’ho mai visto fare così. Si sentirà abbandonato e tradito, poverino. Non dovevo andar via», piagnucola Serena.

«Non credo. Ascolta: linea punto, linea linea linea, punto linea linea… È un codice, il codice Morse. Sta cercando di comunicare con gli altri…», fa il vecchio, pensando a voce alta. Poi, brusco, «Certo che hai fatto bene ad andare, ti avrebbe strangolato, sciocchina!».

La bimba scoppia a piangere.

«Piangi, pure, non ti preoccupare. Le lacrime riscaldano l’anima».

«Ma cos’è questo codice di cui parli? Un programma? E che vuol dire?», dice Serena, che sembra aver ritrovato un barlume di razionalità.

«È un vecchio codice che si usava per comunicare, con la radio e con il telefono. Da molti anni non lo usa più nessuno. Sta trasmettendo NOW, ORA. Sta per succedere qualcosa!».

Più lontano si vedevano altri Fuffik ripetere lo stesso segnale, sibilando e facendo lampeggiare gli occhi con luce sempre più intensa. Linea punto, linea linea linea, punto linea linea…

Don Santo avvia il motore e inizia a allontanarsi. 

«Guarda laggiù!», dice indicando un passante che bighellonava lungo la spiaggia, «Lo sta strangolando! E non c’è nulla che possiamo fare per impedirlo. E anche lì, un altro… Li stanno ammazzando tutti!».

Adesso piangono tutti e due, il vecchio e la bambina, assistendo impotenti alla strage che si sta consumando. 

«E papà, e la mamma? Come faranno?», singhiozza Serena.

«Speriamo che se la cavino… Non possiamo far altro che andare al largo e aspettare lì. Poi vedremo di capire e che cosa sarà possibile fare».

I due amici si trattengono al largo. Si abbracciano per consolarsi, ignari e impotenti. Il mare è calmo, come se non avesse notato la tragedia. 

Ad un certo punto il vecchio fa: «Serena, dobbiamo studiare un piano. Dimmi, i Fuffik sono in grado di collegarsi da soli alle prese di corrente?».

«Non li ho mai visti fare una cosa del genere. Li colleghiamo noi alle prese, bastano pochi minuti».

«Se è così, non dobbiamo far altro che aspettare che si scarichino completamente. Abbiamo acqua potabile per tre giorni, se necessario possiamo anche raccogliere la condensa con la vela. Per mangiare, beh, il pesce certo non ci mancherà».

Così trascorsero due lunghi giorni in mare aperto, terrorizzati all’idea di sbarcare. Quando finalmente accostarono, non notarono alcun segno di vita, nè di uomini nè di Fuffik. Si presero di coraggio e iniziarono a percorrere le strade del paesino deserto per raggiungere il centro. Ovunque scene orribili, corpi di uomini e donne strangolati, stretti ai loro Fuffik in un ultimo abbraccio mortale. Si fermarono un attimo a casa di Serena, dove ebbero la triste conferma che nessuno era sopravvissuto. Mesta, la bambina singhiozzò: «Tutto quello che avevo… la mia famiglia…».

Nella quiete surreale del villaggio, il faccione di Elton Dust ripeteva da uno schermo televisivo:

“Oggi abbiamo riportato una grande vittoria. Dopo l’insonnia e la solitudine abbiamo eliminato altri due grandi mali del mondo: la sovrappopolazione e la povertà. In tutto il pianeta oggi sono vivi meno di un milione di uomini, finalmente tutti avranno cibo e energia”.

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