Pioveva quel giorno, lo ricordo bene. Quando ho varcato la soglia di quella porta ho abbandonato il mondo al suo destino, il mio era lì che mi aspettava.

È stato il giorno dopo che in silenzio e nel buio della mia stanza ho cercato il tuo nome, ma tu non eri li, ti avevo lasciata, ti avevo persa nel fondo di una bottiglia. Ed è stato l’inizio, l’inizio di una nuova storia.

Il mattino seguente dopo che il direttore mi aveva predetto la mia salvezza, insieme con altre dieci persone mi sono ritrovato a condividere le nostre storie, persone che come me avevano scelto la strada della rinuncia, dell’abbandono, della semplice e inevitabile morte della vita stessa.

Carla è stata la prima a parlare, a raccontare di sé. Mi ha colpito la sua dolcezza, la sua fragilità e mentre ripensavo alle sue parole qualcuno mi ha chiesto di presentarmi, di raccontare, se ne avevo voglia, della mia vita.

Ma non ci sono state parole quella mattina, non ne ho avuto la forza. Ero solo io e il mio tormento e la visione inarrestabile di una bottiglia che sembrava vuota, ma che era piena del mio dolore.

Quel pomeriggio ho vagato per il parco in cerca del silenzio, in cerca della mia disperazione e ho incontrato Luca, uno dei dieci che quella mattina mi aveva accolto stringendomi a sé piangendo a dirotto perché aveva perso sua moglie, l’aveva persa nel mare di agosto in una giornata qualunque.

Mi mancava mia moglie, mi mancavano le mie figlie, ma mi mancava anche la mia bottiglia, il mio sangue, la mia debolezza.

Il giorno seguente ci siamo ritrovati nella solita stanza e con le solite parole abbiamo cercato strade diverse. Carla quella mattina si era fatta più intraprendente e ha voluto donarci il suo ottimismo suggerendoci di andare a cavallo, e nella titubanza generale, presi dai nostri rancori, abbiamo accettato, con l’idea che un’altra giornata sarebbe passata.

Ci siamo ritrovati la sera nella sala da pranzo a guardare nei nostri occhi, e la notte è scesa a coprire i nostri pensieri.

Le giornate passavano inevitabili e inevitabile era il richiamo del nostro disagio. I nostri compiti erano quelli di svolgere mansioni giornaliere materiali, che riempissero il nostro tempo: io dovevo accudire i cavalli insieme a Carla e a Max, era faticoso, ma lo facevo con piacere, e quando la sera mi ritrovavo sul letto stanco da far paura vedevo la mia angoscia allontanarsi.

Le sedute continuavano e ogni giorno scoprivamo di più noi stessi.

Ho lasciato anch'io il mio silenzio alle spalle e in punta di piedi e con tutta la forza possibile ho raccontato di me, della mia fragilità e, per la prima volta, della morte di mio figlio.

La morte di un figlio ti spezza il cuore, te lo fa in mille pezzi, ti toglie il respiro, ti toglie la vita, quella vita che avevi donato con amore.

Claudia, mia moglie, era sempre più presente nei miei pensieri come lo erano sempre di più Chiara e Francesca, le mie figlie, ma la disperazione bussava sempre alla mia porta, e io cercavo con tutto me stesso di non aprirla. Bussava con insistenza e pur di tacere quei rintocchi di tanto in tanto aprivo per farla entrare.

E’ successo una mattina: passando davanti ai bagni ho visto un rigagnolo rosso sul pavimento. Allarmato sono entrato di corsa, Luca era lì disteso sul pavimento con le vene tagliate e la vita che gli usciva inesorabile. C’è stato un gran trambusto, un corri corri generale, ma Luca se ne era andato. Tra i sospiri del suo ultimo saluto mi ha detto che andava da sua moglie e che non sarebbe più tornato.

Luca  si era portato con sé la mia rinuncia, il mio abbandono e con immenso fervore da quel giorno ho vissuto la mia vita con semplicità con tutti gli altri e per gli altri.

Le mie giornate si sono riempite di sguardi sinceri, di sorrisi infiniti e soprattutto di immensa gioia di vivere. Carla se ne era andata, era andata incontro alla vita, ora era il mio turno ed ansioso aspettavo quel giorno.

Quel giorno c’era il sole, lo ricordo bene, Claudia era là ad aspettarmi. “Perdonami amore mio, perdona la mia debolezza, il mio egoismo, la mia fragilità. Perdonami se non ti ho saputo amare abbastanza, se ti ho lasciata sola, se da sola hai dovuto vivere il tuo dolore.”

Tutto questo e altro ancora avrei voluto dirgli. Ma quando i nostri cuori si sono stretti in un abbraccio senza fine tutto quello che gli ho detto è stato: "Ti amo amore mio", mentre nell’aria una farfalla si è posata sui suoi capelli e poi è volata via.

 

 

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