La storia dei nostri giorni riporta quanto e come la città di Palermo negli anni novanta sia stata segnata da lutti e stragi e la vita di un adolescente, a Palermo, in quegli anni, era caratterizzata dalla paura.

 

Paura delle esplosioni improvvise, degli spari, delle macchine di servizio che sfrecciavano a sirene spiegate per le strade, delle armi puntate addosso se ti trovavi accanto ad una macchina di scorta…. tutto ciò è diventato paura di uscire da casa, per il clima di diffidenza e di tensione che si respirava in giro per strada. Poca gente a passeggio, locali poco frequentati, si preferiva stare a casa o ci si spostava rigorosamente macchina, con sportelli e vetri chiusi, anche per piccoli tratti.

 

La percezione del pericolo, soprattutto quando il pericolo è di grande dimensione, per un adolescente è piuttosto vaga, ma in quel caso era uno stato di fatto. I posti di blocco, le ronde di controllo, la presenza militare agli angoli delle strade,… era la quotidianità. Non si usciva a fare una passeggiata con gli amici, si evitavano i luoghi affollati e i mezzi pubblici, non si sostava davanti scuola, qualche festa in casa… 

Gli adolescenti degli anni novanta in una Palermo/Beirut sono stati privati di una fetta di libertà.

Ma un adolescente può affrontare con una certa serenità e leggerezza tutto, se a prendersi cura di lui, dei suoi spostamenti e del suo tempo sono i genitori e ci sono comunque gli amici che condividono la stessa realtà. E così è andata….

 

Di quegli anni, oltre alle devastanti sonorità e all’angosciante clima di paura, ricordo il suono delle sirene dei Cantieri Navali che mi svegliavano al mattino: la prima sirena il risveglio e la seconda, quella più lunga, per scattare in piedi, perchè altrimenti non facevo in tempo a preparami per andare a scuola o per le lezioni all’università. Ogni mattina quei suoni scandivano l’inizio delle attività non solo per me e per i Cantieri Navali, ma per una parte della città, quella che dava verso il mare, ai piedi di Monte Pellegrino.

La giornata si concludeva a sera col suono delle lente note del silenzio militare, intonato da una potente tromba che proveniva dalla vicina Caserma Cascino. Che dolcezza!! Associo quel suono alla “buona notte” datami da mio padre, al suo bacio e a quel modo tutto suo di rimboccarmi le coperte. Non sempre si sentiva qual suono, dipendeva da come tirava il vento, ma il rituale della buona notte c’era sempre. E in quegli istanti riflettevo, con un po’ di malinconia, che quella melodia serviva anche a cullare il primo sonno di quei ragazzi che in una fredda camerata di una caserma, a Palermo, lontano dalla famiglia, stavano per addormentarsi.

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