"DING-DONG - ALLACCIARE LE CINTURE E PREPARARSI AL DECOLLO". Ancora una volta quella maledetta hostess mi destò dai miei pensieri. Che branco di pecore eravamo. Ogni giorno gli stessi gesti, gli stessi pensieri, gli stessi sogni che mai si avvereranno, la vita raccolta in una mano, infiniti granelli di sabbia, stretti in un pugno, e per quanto tu possa stringere essi ritornano inesorabilmente verso terra.

Questa routine mi e ci ammazzava ma nessuno se ne rendeva conto. Finivamo con il diventare dei vecchi burberi che non fanno che parlare di politica, lavoro, calcio...

Io credevo di essere diverso, non sono come loro, io non posso morire, io valgo di più, faccio ragionamenti che loro non fanno, ma non era vero. Ogni volta che vedevo la mia immagine riflessa ero più stanco, più vecchio, con solchi sempre più profondi.

"DING DONG ORA E' POSSIBILE RIACCEDENDERE I DISPOSITIVI. VI PREGHIAMO PERO' DI TENERLI IN MODALITA' AEREO O CON INTERNET SPENTO". Di nuovo quella stramaledetta hostess con quella sua fottuta voce. Io amavo osservare le persone, come si comportavano, come si relazionavano tra loro, ciò che mi sorprendeva di più però era la loro stupidità la loro ignoranza. Non si ponevano domande esistenziali o no, questi stronzi, preferivano chiedersi chi era questa o quella moglie del vip di turno, chi aveva vinto il derby... Cazzo... A volte penso di essere vittima di qualche talk show, si come in quella commedia, or ora mi sfugge il nome, abbastanza famosa comunque, dove all'insaputa del "protagonista" la gente che lo circonda recita, forse è così anche per me... Beh, dai, ora basta, basta pensare, devo riposarmi un po', mancano ancora nove ore di volo.

Mi svegliai che avevo un gomito conficcato tra costole e milza. Mi scostai più verso il finestrino. Il mio vicino era un ciccione con un rivolo di saliva al lato sinistro della bocca e la pelle cosparsa di una sottile patina di sudore appiccicaticcio. Aveva un polo sgualcita chiusa fino in cima, fino all'ultimo bottone, che sembrava lì lì per staccarsi, il suo gozzo penzolante ricadeva sul collo e si fermava appena sopra il colletto. Alla sua destra c'era una ragazza che non avrà avuto più di vent'anni. Vestita con una semplice tuta e scarpe da ginnastica. Una treccia bionda chiusa in fondo da un elastico blu. Pelle chiarissima e occhi di un verde profondo. Mi ricordava una rana, anzi un rospo, un viscido rospo biondo. Ambrato. Certa gente non dovrebbero ammetterla in prima classe, pensai. Poi ebbi un flash. Se li avessi visti 10 anni prima non li avrai giudicati così, cioè sì li avrei osservati, pesati e letti, ma non dall'alto in basso, non come adesso.

Ero diventato quello che una volta odiavo, e che mi ero promesso di non diventare mai. Fanculo!

I soldi cambiano le persone, le cambiano e le riducono schiave.

"Signore scusi desidera qualcosa?"

"Non ho spicci."

"Signore mi perdoni, ma siamo in prima classe qui è tutto offerto."

"Bene, allora mi dia un whisky!"

Lo steward un po' impacciato e goffo alla fine tirò fuori dal tavolino a rotelle un bicchiere e lo riempì per 3/4.

"Ragazzo!" lo chiamavo ragazzo anche se visivamente si vedeva che era sulla quarantina. Come ero diventato, maledetti soldi!

"Quando dico un whisky intendo una bottiglia di whisky."

"Mi scusi" disse porgendomi la bottiglia avvolta in un tovagliolino nero di stoffa.

"Che non ricapiti" lo squadrai.

Il grassone di fianco a me si prese un paio di hot dog che grondavano ketchup, la ragazza fece un semplice no con la testa.

Sapevo che non sarei riuscito a scolarmi tutta la bottiglia, e che un bicchiere mi sarebbe bastato, ma volevo far passare agli altri quello che avevo passato io. Sì, ora tutti mi vedevano come una persona intrigante, un viaggiatore, un poeta, uno scrittore, un amante, un artista, insomma uno che ce l'aveva fatta, per farla breve, ma ne avevo passate tanto, troppe, forse.

Bevvi un paio di bicchieri poi mi riaddormentai.

Arrivammo a New York senza troppi disturbi. Il ciccione dopo il mio risveglio aveva cercato più volte di attaccare bottone, ma quell'uomo mi dava sui nervi, e diedi risposte scontate finché non si stancò.

Io odiavo la gente, o meglio l'odiavo e l'amavo alla stesso tempo. Erano le persone quelle che mi davano spunti per scrivere, ma erano anche coloro che mi toglievano la forza e la speranza ogni giorno.

All'orologio: le 9.30 p.m. a NY. Arrivato in città mi diressi verso la 13th (esima), migliaia di volti, mani, sguardi, cappotti firmati, calzini, patatine di qualche fast food, sigarette, capelli lunghi, capelli rasati, ebrei, neri, indiani, ricchi, barboni, ecco questo era ciò che amavo, che mi dava spunto. Ognuno di loro aveva una storia, un ricordo, un sogno... ma nel complesso ti uccidevano. Forse era proprio questo il bello dell'umanità.

Il mio pensiero da qui si spostò sul luogo dov'ero nato e cresciuto. Un paesino di 2000 abitanti... Cazzo... I paesi provinciali ammazzano gli artisti. Lì non hai sfoghi, non puoi avere motivazioni, stesse persone, stesso bar, stesse strade, stesso stracazzo di water ogni fottuto giorno.

Trovai un pub, di quelli semplici, ma caratteristici, luci soffuse, vetri al piombo alle finestre, sgabelli e tavoli di legno scuro. E poi un abbaglio, una visione, un’apparizione. Candida, raccolta nella sua purezza, dietro il bancone, con una maglietta bianca attillatissima.

Ero intenzionato a parlarle, ma rimasi nel bar il tempo di chiudere la porta dietro di me. Mi avviai verso il bancone... In effetti ero vestito un po' troppo bene per quel bar, forse pensavo di aver ancora vent'anni quando giravo vestito da straccione. Un tizio mi fece uno sgambetto ma non caddi, mi girai e chiesi se aveva qualche problema. Un altro dietro di lui estrasse un coltello serramanico e mi fece segno di uscire con loro. Vennero fuori in tre. Avrei potuto scappare effettivamente, mi sembravamo ebbri, ma non lo feci, preferivo vivere le situazioni fino in fondo.

Fatto sta che mi chiesero il portafoglio, e giustamente, aggiungerei, vivevano così. Più volte avevo rischiato che diventasse anche il mio di lavoro. Io non ce l'avevo né con i ladri, né con i barboni, o con gli evasori o spacciatori o con chicchessia, ognuno aveva deciso di vivere la vita a modo proprio.

Odiavo più la società che ti collocava in ruoli dai quali non potevi più uscire.

Comunque, ritornando a noi, tirai fuori il portafoglio, glielo porsi, lo aprirono, impallidirono. Era vuoto. Io risi tra me e me. Mi guardarono:

"Perché è vuoto, stronzo?"

"Non mi piace portarmi i soldi appresso."

"Come avresti pagato al bar?"

"Avrei fatto colpo sulla baris..."

TACK mi andò male, supposi in seguito che fosse stato il suo ragazzo. Mi arrivò un sinistro sullo zigomo. Sentì ogni singola nocca, aveva un anello sull'anulare, quello lo sentii particolarmente. Crollai. Non infierirono. Però mi trascinarono in fondo alla via, tra due bidoni, in mezzo a dei sacchetti che odoravano di morte. Rimasi lì ad ascoltare il sangue caldo che mi scendeva lungo la guancia e il collo per poi inzuppare la camicia. 

Il sole era già alto. Mi alzai, sudato, con sangue raffermo su quasi tutto il torace e con varie chiazze scure sui pantaloni e sulla camicia. Dovevo trovare un hotel e alla svelta. Un orologio a led segnava la temperatura: 79° Fahrenheit, poco più di 26° Celsius, era una primavera piuttosto calda.

Dopo la temperatura scattò l'ora: 11.52 a.m. Merda!!! Dovevo presentare il mio ultimo libro a mezzogiorno e mezza, in una biblioteca secondaria in centro città, non ero poi così famoso. Avevo più che mai bisogno di una doccia e vestiti nuovi.

Trovai un hotel a 3 stelle. Era da anni che il mio livello base era il 5 stelle. Poi però decisi di entrare, emanavo una puzza vomitevole. La ragazza alla reception era davvero carina, semplice, capelli rossi, un velo di lentiggini all'altezza del naso su entrambe le gote, e con una voce estasiante:

 "Salve, desidera?"

"Ehm.."

Non so a se pensavo a lei, all'universo, alla morte, al mare, agli hamburger, beh non lo so ma non riuscivo a muovere la bocca. Era la prima volta, di solito ero io quello spigliato, brillante. Mi schiaffeggiai, Respirai. Ok, ero tornato. Doveva pensare fossi matto.

"Si vorrei una camera per mezzora."

Spalancò gli occhi:

"Si, beh..." Ora era lei quella impacciata "Noi facciamo minimo due pernottamenti."

"Quanto verrebbe a costarmi?"

"120 dollari"

"Tieni" estrassi dalla tasca interna nascosta una banconota da 500 e gliela porsi. Era a disagio. Forse non aveva il resto. Fece finta di frugare tra le carte e i cassetti della scrivania.

"Tenga il resto" mi diede le chiavi, stupefatta.

"P..p..prenda le scale, primo...primo paino, in fondo al corridoio...a destra."

Mi avviai, proprio una gran bella ragazza, pensai.

Mi spogliai poi presi la rubrica e dal telefono dell'albergo, chiamai un negozio chic della città, che in dieci minuti mi recapitò il vestito.

Ero ancora in doccia... TOC TOC...

"Si?"

"E' arrivato un pacco per lei."

"Entra" la ragazza entrò a testa china e fece per adagiare il pacco sul letto. La vidi attraverso lo spiraglio della porta del bagno.

"Non penserà di andarsene così"

"C..c..come!?"

"Me lo provo, così mi dice come sto."

Non rispose ma la vedevo che era diventata più rossa che mai, si sedette su uno sgabello, aprì una bottiglietta di whisky del minibar e ne tracannò un sorso. Uscì nudo. Rimase con lo sguardo fisso a terra. Mi vestii, poi la guardai.

"Beh, hai in mente di fissare la moquette per tutto il giorno?!"

"Eh..eh no" rimase a bocca aperta come quando avevo tirato fuori i 500 dollari.

Ora toccava a me. Mi avvicinai. Mi sedetti sui talloni di fronte a lei. Le misi la mano sotto il mento e spinsi leggermente in su, poi mi avvicinai e la baciai delicatamente, quasi uno sfioro. Si incendiò, la sentii bollire letteralmente. Era una bomba di passione. Mi mise la lingua in bocca. Poi mi spinse a terra. Sembrava che dietro quella maschera di castità ci fosse il diavolo. Si alzò la lunga gonna viola e mi apri i pantaloni. Mi cavalcava. Si strappo la camicia bianca, i bottoni saltarono dappertutto. I seni andavano su e giù con un movimento fluido quasi soprannaturale. Le strinsi. La baciai, ed ecco quel turbinio di emozioni, la pelle d'oca, l'inondazione...

Guardai l'orologio a pendolo nell'angolo, 12.30 a.m.

Poteva andare a fare in culo la presentazione, poteva andare a fare in culo l'umanità e la vita stessa.

 

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