L’aprimitili - Maggio 2004 

 

In quell'anno lavoravo dai Palazzo in qualità di commesso/magazziniere in un negozio di articoli casalinghi, precisamene per il quarto anno consecutivo, e presto mi sarei licenziato in quanto ero in attesa di essere chiamato per il servizio militare.

Lavorare in quel negozio non mi dispiaceva affatto, ma c'erano parecchie note negative, a cominciare dagli orari di chiusura quasi mai rispettati, una salario piuttosto basso che si attestava sulle 240 euro al mese, l'intransigenza e la severità dei dispotici titolari e infine i clienti che mi facevano andare fuori di melone in svariate occasioni.

In un tardo pomeriggio, mentre stavo sistemando in uno scaffale delle caffettiere e dei thermos, entrò una signora di mezza età dall'aria chiaramente borghesotta.

Non mi fu difficile etichettarla tale per via del ‘Buonasera!’ detto in maniera immodesta, dall'andatura rigida come se gli avessero piantato un palo nel culo e dal suo elegante completo grigio, lo stesso grigio dei suoi capelli.

Con circospezione cominciò a guardare in giro toccandosi più volte con il pollice e l'indice la montatura dorata degli occhiali e pregai mentalmente che non venisse a disturbarmi.

Riconoscevo praticamente fin da subito gli scocciatori e, ahimè, le mie preghiere non furono ascoltate.

«Mi scusi, sto cercando un aprimitili!», esordì.

«Un apri che?», chiesi, non afferrando cosa intendesse dire.

«Un aprimitili!», disse ancora.

«Un aprimirtilli?», storpiai erroneamente.

«Un aprimitili!», mi corresse.

«Un aprimitili?», ripetei alzando gli occhi alla Leo, personaggio interpretato da Carlo Verdone in "Un sacco bello".

Non ne venni a capo, la cliente non solo non mi aiutò a identificare l'arnese dal nome curioso, ma continuò la tiritera con frasi del tipo: «Oh insomma, non le sto chiedendo nulla dell’altro mondo, desidero un semplice aprimitili!» - «Come fa a non sapere cos'è un aprimitili? È o non è un commesso in questo casalinghi?» - «Vuole che le faccia un disegnino?»

Non mi restava che affidarmi all’aiuto ad uno dei due anziani titolari, un azione che avrei preferito evitare in quanto avevano la tendenza di lamentarsi e di rimproverarmi aspramente se non riuscivo a servire adeguatamente i clienti.

«Signora Ada, la cliente desidera un aprimitili…», esposi non completando la frase temendo una sua prevedibile reazione non positiva.

«Aprimitili? E che è? Secondo me hai capito male!», mi disse sbuffando la vecchia.

La borghesotta ci squadrò con fare altezzoso e poi sdegnato, ci mancò poco che ci identificasse come degli incompetenti.

Persino il marito della proprietaria fu chiamato in causa ma si sentì anche lui in difficoltà e sollecitò la cliente nel dire in parole povere cosa fosse l'oggetto in questione apparentemente sconosciuto.

Non c’era verso, l’essere sibillina e la bastardaggine di quella lì proseguiva a oltranza, sembrava farlo apposta.

Finché Pino, uno dei due figli dei titolari, essendo un esperto e un perfetto conoscitore delle attrezzature casalinghe e avendo prestato in qualche modo attenzione alla situazione creatasi, lasciò per un attimo in sospeso un'altra cliente e andò a risolvere l’enigma.

«Giuseppe, la signora vuole un apricozze, i mitili sarebbero i molluschi!», mi informò acidamente e rimproverando il sottoscritto di peccare di ignoranza.

Inutile dire che i Palazzo diedero appoggio al figlio facendomi sentire un imbecille dopo che nemmeno i due coniugi stessi sapevano che fondamentalmente l'aprimitili rappresentava un maledetto coltellino.

La "donna in grigio” fu servita e finalmente si levò dalle scatole.

E dulcis in fundo, verso l'orario di chiusura, un'altra signora attempata volle da me un particolarissimo set, utilizzato ad esempio per la fondue di formaggi, di carne o per la cioccolata, ahimè collezionando immancabilmente l’ennesimo rimbrotto da parte dei titolari.

Fu la prima volta che sentii parlare dell’elvetico set da fonduta formato da un caratteristico caquelon, (una pentola in ghisa, terracotta o porcellana) un prodotto prevalentemente adoperato dagli svizzeri, dai piemontesi e dai valdostani di cui stranamente eravamo forniti.

Inutilmente provai a giustificarmi con i Palazzo sostenendo che nessuno nasce imparato, del resto non avevo molta dimestichezza del mondo della Cucina e soprattutto una totale conoscenza di tutti gli articoli del negozio.

Rincasando, mia madre si accorse fin da subito che quella sera apparivo più avvilito e spossato del solito.

«Peppe, com'è andata la giornata? Hai fame?», mi domandò preoccupata, «Ti ho preparato le cozze!»

«Non ti ci mettere pure tu, mamma. Oggi sono proprio cotto, anzi no, fuso... come una fondue!»

 

 

Il mercataro intelligente - Ottobre 2006

 

Avevo da poco terminato il servizio militare ed essendo in attesa di trovare un valido impiego, saltuariamente andavo a lavorare con mio cugino Mariano e con i miei zii al mercato in ambito vestiario.

Non si trattava di un lavoro troppo stancante, dovevo alzarmi tre volte a settimana alle 6 del mattino, non vergognarmi ad "abbanniare", cioè attirare l'attenzione dei passanti reclamizzando a voce alta la merce esposta, e infine con i modi giusti cercare di essere più bravo possibile nella vendita, specie con i clienti incerti o titubanti, anche a costo di dimostrarmi sfacciato.

Non avevo chissà quale esperienza e per di più non ero e non sono un cultore delle marche, per cui il non conoscere determinò un episodio degno di nota.

Una mattinata una bella bruna mi chiese informazioni su alcuni pantaloni.

«Scusami», mi disse dopo aver preso in visione vari capi, «Ho notato che non avete jeans Inblu, quando vi arrivano?»

«Ti sbagli, guarda quanti jeans in blu ci sono qua!», le risposi sicuro di me indicando con un cenno una delle nostre bancarelle.

La giovane sorrise per poi andare in direzione di mio cugino che in quel momento stava piegando alcune magliette e si mise piacevolmente a parlare con lui.

Essendo una cliente fissa da anni non mi stupii della loro confidenza però notai con un certo fastidio che mi deridevano, diventando quindi oggetto di discussione. Dopodiché Mariano mi raggiunse e mi diede pacca sulla spalla accompagnata da un'espressione chiaramente da sfottò.

«Ehi minchione, guarda che Inblu è una marca, non ti aveva chiesto dei pantaloni in o sul blu!», mi schernì.

«Che figura!», esclamai.

«Sai cosa mi ha detto di te?»

«No, cosa?», chiesi incuriosito.

«Quel ragazzo è bellino peccato che è un po’ cretino!»

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