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Aveva vissuto sempre fin da bambino con una visione della vita da megalomane. Pieno di arie, si era sempre considerato perfetto in tutti i suoi atteggiamenti. Ed il suo eloquio era stato sempre roboante, quasi avesse voluto riprendere filosofie del passato come quella del superuomo o tendenze e stili di vita rumorosi come quelli proposti dai futuristi ad inizio del secolo scorso. Certo era che aveva una buona conoscenza della letteratura e della filosofia, tanto che i suoi amici di strada lo chiamavano "O professore". Ma in realtà la sua non era una cultura scolastica o universitaria ma da autodidatta, realizzata ed alimentata dai libri di seconda mano, che acquistava con il frutto delle elemosine presso una bancarella di oggetti usati al mercatino rionale. La sua visone della vita, il suo autostimarsi oltre la realtà, avevano prodotto in lui la consapevolezza che nella vita bisognava sempre essere vigili per realizzare il proprio talento, che bisognava non abbattersi mai anche nella disgrazia e che bisognava continuare per la propria strada al di là di ogni fatto increscioso o scomodo. "O professore" era sempre in piazza, seduto su una panchina a leggere e a sognare di poter realizzare il suo sogno più grande: riuscire un giorno a volare. Quando sopra la sua testa passava qualche aereo era sempre lì con i suoi occhi spalancati, desiderosi di contemplare "l'uccello d'acciaio" solcare i cieli. E quando era la stagione adatta portava sempre le briciole del suo pasto agli uccellini, che sembravano ringraziarlo. Pareva San Francesco. Ed i birboni ragazzini del luogo lo sfottevano, divertendosi alle sue spalle. Ecco, lui ora si sentiva un superuomo in questo frangente perché aiutava gli altri, al di fuori del giudizio e della derisione degli altri. "Il superuomo non è un'illusione o un personaggio da cartoni animati ma è colui che aiuta il prossimo senza richiederne una ricompensa", diceva sempre a sé stesso. La sua prosocialità era sublime. E lo innalzava ai massimi gradi della generosità, dote che forse quando si è ricchi è difficile mostrare ma che nella disgrazia è più semplice esercitare. Un atteggiamento sconvolgente perché proiettato alla ricerca di una misericordia per gli altri ma anche per sé, necessaria a lui in primo luogo, che aveva imparato a sue spese ad offrire sempre il suo pasto a coloro i quali erano "più sfortunati di lui nella sfortuna" a suo dire e che consolava anche con un sorriso fra le labbra ed una mano vicino al cuore. "O professore" soleva sedersi anche sui gradini della chiesa ed aspettare i parrocchiani che uscissero per scambiare un sorriso e ricevere qualche moneta, con la quale acquistava un panino e le briciole per i suoi uccellini. E così per tanti anni. Una volta nella stessa bancarella, dove acquistava a prezzi stracciatissimi i libri che leggeva, aveva trovato anche un modellino di aeroplano e quasi come un bambino piagnucoloso, aveva fatto ferro e fuoco per acquistalo. Dovette promettere al proprietario della bancarella una settimana di elemosine per poterlo avere. E così fu. La contentezza dell'uomo era quella di un eroe che avesse conquistato la Dacia, o di un cavaliere che avesse ottenuto un sorriso dalla sua dama. A tanti sembrava più un donchisciotte in miniatura che un cavaliere vittorioso, sognatore e visionario, ed ora infantile con un aeroplanino che faceva volare con la sua mano poderosa. Ma dov'era finita la sua voglia d'onnipotenza? La sua megalomania non era stata mai proficua perché lo aveva portato a sperperare il suo patrimonio e ad essere inseguito dai debitori. Ed aveva fatto come Mattia Pascal. Era fuggito dalla sua identità e da quella realtà di borioso borghese per abbracciare l'umiltà del barbone. Questo gli aveva permesso di scoprirsi fanciullo, di vivere un'infanzia che non aveva mai avuto perché istruito fin dalla culla da suo padre, grosso industriale, alla logica dell'interesse e del guadagno ad ogni costo. Via da tutto ciò. Ed aveva riscoperto il suo interesse alla lettura, la bellezza di visitare mondi artificiali creati dagli autori, anzi di vivere assieme ai suoi personaggi preferiti. Infine di meditare sulla filosofia dei grandi interpreti del passato per orientarsi verso la filosofia della piccolezza e della Misericordia. Ora aveva con sé anche l'aeroplanino, che gli permetteva di sognare, credendosi un pilota eccezionale. Ma di eccezionale, purtroppo, non aveva niente se non la sua vita genuina. E tanta genuinità lo portò un giorno a guardare così intensamente da una montagna il paesaggio e a lanciarsi dal Belvedere, credendosi un uccello e librandosi nel cielo. Alcuni raccontarono di averlo visto volteggiare felicemente, roteare verso il sole ed inseguire le nuvole. E giurarono pure di averlo visto accompagnarsi ad uno stormo di rondini.
Sta di fatto che lo ritrovarono dopo qualche giorno su una panchina del parco ove era solito bazzicare, ormai irrigidito dal freddo, con una beata espressione in viso, quasi fosse un pieno sorriso e con il suo aeroplanino stretto stretto fra le sue braccia ed il petto.
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