Che c'era Caino, no, che je voleva bene a Abele. Era su fratello, capirai! Dicevo... C'era Caino che aveva organizzato tutto all'insaputa de Abele: 'na bella festa a sorpresa! Nun era er compleanno, l'anniversario, l'onomastico o chessòio de Abele. Però je voleva fà 'st'omaggio, Caino. Je voleva bene. E allora annò da Abele, e a gran voce, entusiasta, jè spiegò er piano: era un viaggio fino a Soverato. Loro stavano a Roma. Abele era perplesso, pensieroso: sorpreso dall'atteggiamento der fratello e ar tempo stesso titubante sur viaggio. Ma Caino lo convinse. Se lo dovette da lavorà un po' ai fianchi come un pugile fa sur ring co l'avversario ma 'a' fine Abele cedette.

Erano felici. Contenti. Caino mica tanto a dilla tutta... che c'aveva 'n sacco de problemi a casa, co i suoi. Co l'altri. A lavoro. Co l'amichi. C'aveva proprio un sacco de problemi, Caino. Caino c'aveva pure 'n'amico a Soverato: Freghete. Che Freghete c'abitava proprio a Soverato. Vabbè. Caino e Abele se sentivano spesso ma se vedevano poco, urtimamente: a Caino j'erano spuntati un sacco de altri guai che a elencalli tutti 'sto racconto diviene lungo invece che breve. Però immaginateve 'n sacco de guai. Tipo che stava senza sordi e lavorava. Stava in causa co i datori fascisti e schiavisti e nonostante che faceva la voce grossa sempre in saccocia se la pijava. E questi nun pagavano. E stava a rischià d'esse sbattuto fori de casa. E de nun riuscì manco a mette 'n tavola quarcosa da mette sotto a li denti.

A Caino je rodeva er culo. Ma tanto. Tanto, tanto, tanto. La data der viaggio se avvicinava e già sapeva, Caino, in cuor suo, che er finale poteva da esse uno e uno solo. Ma stava zitto co Abele. Anzi... se figneva allegro, spensierato. E contento der viaggio che assieme avrebbero affrontato! Cor cazzo, corca... Che pure Abele, nun ve credete, c'aveva un sacco de cazzi... ma tanti. Ma tanti, tanti, tanti! Mica no! Stava a tentà de sfonnà come cantante. E di fatto, Freghete era 'n cantante piuttosto famoso nell'hinterland del sud Italia. Che aveva fatto pure la fiera der peperoncino a Soverato e c'aveva la foto appesa a casa sua - casa... un budello lungo e stretto alto un metro e venti tutto scrostato e fatiscente! - cor sindaco - de prima che lo ingabbiassero pe peculato. Er sindaco, no Freghete.

Che a Freghete ce lo chiamava così solo Caino e chi lo conosceva a Roma, pe via de no scambio curturale, gemellaggio de musicisti pieni de speranza ma senza voce. Che a dilla tutta, Freghete se nun aveva sfondato sino a mò, a livello nazionale, un motivo c'era. E Freghete c'aveva cinquant'anni, c'aveva, mica era 'n pupo. Vabbè.

Er viaggio pè Abele che Caino aveva organizzato, nun era solo un viaggio de piacere. Che Abele mica lo conosceva a Freghete! Perché Abele sonava solo a casa sua, e stava sempre a casa sua. Nun usciva quasi mai. Solo quando andava sur terazzo de casa e pisciava libero su 'a testa daaa gente. Era l'unico vizietto che c'aveva. Poi pe er resto era 'n bravo ragazzo. E allora a Caino je venne in mente de unì quei due geni, Freghete e Abele. Che Abele era bravo davero a sonà, mica cazzi! Pe falla breve se avvicinava er viaggio e Caino je rivelò tutta la storia. De Freghete, de er duo che s'era sognato eccetera, eccetera. Beh Abele non la prese mica male e anzi, a speranza je se aprì ner core! Poi quanno Caino je disse: «guarda che io nun c'ho 'n'euro e li bijetti li devi da fa te», je rodette un po' er culo. Perché Abele stava a secco e dovette impegnasse er gallo che c'aveva a casa pè pagà la corriera.

Morale della favola, a bijetti fatti, e gallo impegnato, successe er guaio: Caino, che non s'era sentito cò Abele pe tutto il giorno, all'improvviso je disse: «Guarda Abè... me sento male... er pesce fritto m'è arimasto sullo stomego nun riesco a partì co te. Ma tanto, alle brutte se nun voi annà da solo, li bijetti te li rimborseno... e comunque se fossi in te partirei uguale! Va sereno che Freghete t'aspetta.».

Abele stette zitto. Ce lo voleva mannà, er fratellom dritto dritto. Oh, si voleva. Ma stette zitto. «Freghete io mica lo conosco... è amico tuo mica mio! Ce serve quarcuno che ce presenta...».

Spazientito, Caino sospirò e sbottò: «Ma de che? Tu pija e va! Ma nun c'è quarcuno che te po accompagnà ar posto mio, al limite? Io nun posso... Te l'ho detto!».

Abele se sentì prima morì. Poi un foco je prese possesso der corpo e la rabbia l'accecò. Aveva perso er gallo suo pe 'na speranza che j'era stata appena disillusa. Ma er mejo, se fa pè dì, venne poi: che Freghete lo aspettava, Abele, che Caino lo aveva avvisato che nun ce la faceva e j'aveva lasciato er numero der fratello, così... pe ogni evenienza. E j'aveva puro spiegato che Abele faceva vita da recluso e che nun conosceva nisuno. O almeno nisuno che potesse accompagnallo e venì a presentalli. Perché Freghete lo conoscevano in due, lui e Porpetta. Che Porpetta era finito ar gabbio pe na questione de peculato. Pure lui.

E insomma 'a partenza s'avvicinava (che era tipo er giorno dopo, tipo) e Abele, deciso e incazzato, mannò tutto a monte. Caino se 'ncazzò a sua volta. Freghete pure. Se la preserò cò Abele. Che Freghete je disse: «Ma sti cazzi de chi ce presenta? Stai a dormì da me! Er duo se pò fa! Fidete! Je famo li bozzi a tutti! E se te va aresti puro pe la sagra der fusillo che c'ho er parco mejo alle 23 e sonamo insieme.». Abele, dopo er rifiuto, fu travorto dall'impeto collerico e da voja de sfogà 'e brutture de 'na vita dei due: egli fu insurtato, fu fonte de pettegolezzi assurdi e de voci de corridoio emanate dai due per ore, giorni, mesi, anni a venire! Figlie dell'imbarazzante balletto di cui ambedue, Caino e Freghete, erano corpevoli: e quale mejo modo c'è se non attaccà pè nun esse attaccati?

Caino sparì dalla vita de Abele. Freghete continuò a sonà pe le sagre de paese e a dì a chiunque che Abele era 'n fijo de 'na mign*tta. Abele continuò pe 'a strada sua.

Ar concerto in onore der Presidente, Abele s'esibì ar piano su spartito de Shubert. La gente s'arzò in piedi a fine esibizione. Se spellò 'e mani. Urlò. Inneggiò a lui. Cinque minuti d'applausi cronometrati. Artro che Freghete. Artro che Caino. Manco se li ricordava quei due, Abele. Se l'era dimenticati.

E er pugnale che a lungo era stato conficcato nella schiena de quer povero Cristo, cadde sul palco. Ma nun fece rumore. Nun fece rumore. Nun, fece, rumore. Sipario.

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