Come fai a leggere quella roba?

Davide Perego alzò lo sguardo verso la porta della camera.

Suo padre non c'era.

Non si era avvicinato col suo passo silenzioso – non c'entravano i tappeti: suo padre era davvero capace di camminare senza fare rumore, come una guida indiana che seguisse una pista – non aveva aperto la porta (sempre senza produrre alcun suono: le porte di casa non cigolavano, ci pensava lui a oliarle periodicamente) e non lo stava guardando con quell'espressione tra il rimprovero, il disprezzo e la commiserazione.

Nulla di tutto questo.

Ma faceva lo stesso.

Davide abbassò il libro: i “Racconti del terrore” di Poe, scelti con un criterio incomprensibile per chiunque a cominciare dall'editore, che aveva inserito “Il gatto nero” ma lasciato fuori “Il pozzo e il pendolo”. Tanto la concentrazione era andata a farsi benedire.

Suo padre era lì lo stesso.

Dentro la sua testa.

Come fai a leggere quella roba?.

Ecco, forse la commiserazione era la cosa peggiore.

Davide aveva quattordici anni. Suo padre non era più in grado di proibirgli di leggere quel che voleva: l'autorità, o anche soltanto l'autorevolezza non avrebbero sortito alcun effetto, ma contro la commiserazione non c'era difesa.

Quella roba.

Roba campata in aria. Mamma avrebbe detto (e, in effetti, aveva detto) che quelle letture erano diseducative, che erano violente, che rovinavano il cervello al ragazzo, ma non avrebbe ottenuto nessun risultato. Probabilmente, anzi, avrebbe ottenuto l'effetto opposto. Ma parlare di roba campata in aria era tutta un'altra cosa. Storie che non esistevano. Che non potevano esistere. Che avevano la credibilità dei cartoni di Peppa Pig che Caterina, sua sorella, continuava a seguire nonostante fosse ormai piuttosto grande – e che mamma e papà le lasciavano guardare senza muovere obiezioni: a Davide la contraddizione non sfuggiva.

Il ridicolo. Quella era l'arma segreta. In grado di uccidere qualsiasi mostro. Peggio che ucciderlo. Di incatenarlo a terra, dove non esistevano fantasmi e vampiri, ma solo compiti in classe, paghette da accantonare per comprarsi un telefono nuovo (e del quale avrebbe usato solo un quinto delle funzioni) e partite a pallone giocate in difesa perché, a calcio, non si valeva granché.

Quella roba. Quella robaccia, a volte.

Sbuffò.

Neanche si fosse trattato di video porno scaricati sul cellulare (c'era un certo commercio, in classe). Ecco, lui non aveva mai avuto a che fare con quella roba. Questo avrebbe dovuto attribuirgli qualche credito, no? E invece.

«Puoi anche leggerla, ma ci sono mille altre cose più interessanti di simili bambinate e, se non sei abbastanza grande da capirlo da solo...». Questo era il senso e, quando Davide si era imbattuto nella parola “sottotesto”, non aveva avuto difficoltà a comprenderne il significato.

Guardò la copertina del libro, poi lo ripose sul comodino.

Poe si era salvato perché era considerato un classico. «È letteratura americana dell'Ottocento» aveva detto a papà senza che lui glie lo chiedesse. Gli era sembrata una specie di sfida. Ok, forse non era granché, ma era almeno una affermazione, no? Poi gli era venuta in mente quella frase. Excusatio non petita accusatio manifesta. Se la cavava bene in latino.

Quella roba. Roba campata in aria.

Se avesse saputo di King e Dylan Dog e Lovecraft e Wes Craven...

Se papà lo avesse saputo – e non era da escludere che così fosse – non avrebbe detto nulla.

Sei non sei abbastanza grande da capire quello che vale la pena di leggere...

Ma i reality show che zia Emma e mamma a volte sbirciavano – e Davide era certo che una “sbirciata” fosse molto, ma molto più breve di un'ora – erano delle pietre miliari nella storia della cultura? .

Incrociò le braccia dietro la nuca, senza decidersi a spegnare la luce.

Quella sera papà avrebbe fatto tardi. Arrivando, se avesse visto che la luce nella camera di Davide era ancora accesa (non ci voleva molto: bastava la sottile linea di chiarore sotto la porta; entrando, la si vedeva filtrare nel corridoio buio che dava sull'ingresso) avrebbe pensato che suo figlio era ancora sveglio a leggere Poe. O Lovecraft. O King. O a guardare un film di Wes Craven al computer, dato che la morte del regista aveva riacceso un certo interesse per le sue opere.

Allungò la mano verso l'interruttore e sfiorò il volume.

Povero Edgar.

Diventato un grande della letteratura dopo la morte.

In un paio di secondi (dio, quanto erano forti quelle illuminazioni, anche se “illuminazione” non era forse la parola giusta) Davide concepì l'embrione di una storia in cui uno scrittore horror sorgeva dalla tomba per vendicarsi di tutti i critici che avevano deciso di tributargli un successo postumo.

Spense la luce, lasciandosi avvolgere dal buio, indispensabile personaggio, o forse origine, di tutte le storie dell'orrore.

Potevano dire quello che volevano, potevano parlare di “quella roba” come se fosse cacca di cane appena raccolta da terra, messa in una busta di plastica e ancora in cerca di un cestino dove essere buttata.

Potevano guardare tutti i reality che volevano, ma sarebbe stato sempre difficile ridere al buio.

Da soli.

Si girò su un fianco mentre il racconto dello scrittore non morto prendeva forma nella sua mente, intrecciandosi al sonno.

Chissà che cosa avrebbe detto papà – anzi, che faccia avrebbe fatto – se avesse saputo che non solo Davide leggeva quella roba , ma che la scriveva, nascondendo i suoi racconti (o, più spesso, i loro abbozzi) su fogli infilati tra le pagine dei libri scolastici dell'anno prima, là dove nessuno, mai, nemmeno suo padre, avrebbe guardato.

Chissà, forse un giorno avrebbe potuto scriverne uno – bastava aspettare un “tema libero di composizione creativa”, ne capitavano, ogni tanto.

Magari, avrebbe preso un buon voto (la storia dello scrittore non morto non sembrava affatto male) e, se fosse successo, sarebbe stata l'occasione per farlo leggere a papà.

Nel silenzio, udì il suono della chiave che girava nella serratura.

Gli scatti erano lenti, distanziati l'uno dall'altro.

Papà doveva essere stanco. Faceva molti straordinari, ultimamente.

Forse avrebbe dovuto farglielo leggere.

Sentì la porta che veniva richiusa, come sempre con tre mandate, poi papà che si muoveva in casa al buio.

Solo, un po' stanco, nell'oscurità.

Ognuno sta solo sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole

ed è subito sera.

In un certo senso, non era una storia dell'orrore anche quella?

Sì, forse avrebbe dovuto fargli leggere un racconto...

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