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"No! No! E no!” Fu la risposta ripetutamente perentoria ed infantile che gli uscì dalla bocca, quando il vecchio parroco gli domandò se avesse voluto assisterlo nell’officiare la Santa Messa. Se ne andò volgendo le spalle a quell’uomo dall’espressione buona e sorniona che si addormentava all’interno del confessionale, quando, prima dell’assoluzione, lo ascoltava recitare l’Atto di dolore. Il russare sommesso lo induceva al riso che tratteneva a stento. Due Pater e un’ Ave Maria erano sempre le orazioni che gli venivano “comminate”. Gli piaceva la parrocchia. C’erano i calciobalilla, i tavoli da ping pong, una stanza con librerie colme di volumi. I parrocchiani donavano libri usati. Gli piaceva leggere, gli piaceva Jack London. Anche se impiegava molto tempo. Non riusciva a collocare tutte quelle lettere nella corretta sequenza, e gli succedeva che alcuni grafemi fossero incomprensibili in quella posizione. Sembravano un mucchio di linee gettate alla rinfusa. Comprendeva il senso delle frasi anche senza alcune parole, ma la concentrazione, sottoposta ad ardua prova, spesso lo abbandonava. Non doveva saperlo nessuno di questo suo difetto. Le ragazze lo avrebbero deriso e nessuno lo avrebbe più sfidato a ping-pong. Non riusciva a distinguere lettere che differivano tra loro per particolari lievissimi, ma che a lui parevano enormi. “Zemme Pience” non era il titolo del più famoso romanzo di London. La sorella del parroco, Grazia, si era accorta di questa sua difficoltà, e comprese la sua violenta reazione negativa, che vi ho raccontato all’inizio. Nulla, però, disse al fratello. Un giorno Grazia lo chiamò nella piccola biblioteca e quando rimasero soli, espose sulla tavola una teglia da forno. C’era profumo di pane sotto il canovaccio che la ricopriva. Grazia, un ossìmoro vivente, mani grandi e ruvide, ma delicate nei gesti, gli aveva cucinato ventisei panini: un alfabeto di pane fragrante. Le lettere, così, assumendo una loro specificità materiale, una loro gustosa forma, divenivano facili da gestire. Non facevano paura. “Mi sono accorta della tua difficoltà quando sceglievi i libri. Impiegavi sempre molto tempo. Non era indecisione.” Lui arrossì. Quel donnone era delicato e gentile; come una chioccia proteggeva sempre coloro che parevano più indifesi ovvero in difficoltà. Trascorsero ogni sabato pomeriggio e ogni domenica mattina giocando con le lettere che, come le briciole di Pollicino, lo condussero ad una sempre maggiore abilità. Erano instancabili. Era Grazia a doverlo obbligare a rientrare a casa, almeno per l’ora della cena e del pranzo. Era la vigilia di Natale ed era in grado di leggere ad alta voce, senza inciampare. Certo non era scorrevole, ma era riuscito a camuffare i propri arresti in recitazione, in interpretazione: un piccolo trucco. Ora occorreva un ultimo passo. Bussò alla porta dello studio e chiese il permesso di entrare. Il parroco lo accolse con la sua composta cortesia. Andrea si scusò per quanto accaduto mesi prima. Alla richiesta di partecipazione alla funzione della mezzanotte, il parroco sorrise. Quella notte, dal leggio che gli copriva parzialmente il viso, lesse il brano tratto dalla lettera di San Paolo Apostolo a Tito. La sua voce rimbalzava tra le strette navate. Qualche increspatura per l’emozione. “Parola di Dio”. Scese dal piccolo pulpito con il cuore gonfio d’orgoglio. Nella sua testa, un’ovazione da oscar. Il parroco incrociò il suo sguardo: entrambi lucidi. Si sedette a fianco di Grazia che lo avvolse con un sorriso. Sono trascorsi venticinque anni da quella mezzanotte. Nulla si è trasformato in zucca. Nello studio legale, a fianco del diploma di laurea, in una cornice arancione le lettere di pane di Grazia sono allineate come tanti soldatini di piombo, fieri della propria vittoria. Oggi è giovedì ed è giorno di visita. Grazia, divenuta cieca, lo ascolta dal letto ove la vecchiaia l’ha costretta. Andrea legge.
Piccola stella, 27 April 2024
DOVE SONO
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Occhi curiosi tra arabeschi di rughe. Il futuro a ritroso. I passi più lenti. Mani nude deformi in spirali di attese. Una valigia mi ha portato lontano.
Piccola stella, 19 April 2024
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Piccola stella, 30 April 2024
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La spettatrice, 18 April 2024
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Utente Anonimo
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Si pazienta obbedendo ai colori agli istinti, alle voglie si pazienta non sempre aspettando, aspettandoti qualcosa afferrando le mani promettendo cambierà; si pazienta perché è giusto così, senza pensare all’ultima volta che ti sei sentito felice, non ricordando senza sperare o anzi sperando [...]
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stapelia:Il ben trovato si può dare? Inutile, ho un debole per queste scritture, [...]
Ho sempre cercato di fare le cose come si deve, di comportarmi per bene, ma ho sempre saputo che avrei fallito chissà quante volte. Sono una persona normale. Uno di quelli cui capitano le cose che capitano a tutti: gioie, disgrazie. Anche di fallire. Quando mi sono trovato senza lavoro e senza [...]
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stapelia:Come al solito ben scritto! Anche il finale..... Siccome non mi va di anticipare, [...]
Patapump:Stap, le panchine ritornano! Rubrus penso sia un buon scritto Penso [...]
Penso sia necessario qualcosa di ancora più forte, per curiosità ordino del Mescal, stranamente lo hanno, ne prendo una bottiglia intera e mi ci attacco, un sorso e un boccone, così riesco a mandar giù tutto il piatto. In fondo alla bottiglia vedo il verme che attende di essere masticato, non [...]
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Lawrence Dryvalley:Beh in effetti è quasi un anno che sto qua... Time goes by...
Quest’anno ho deciso di trascorrere l’estate negli USA. Voglio provare l’ebrezza di correre lungo la strada più famosa al mondo, quella che ha fatto la storia, che ha inventato il mito dell’America, la Route 66, 3755 chilometri da Chicago a Santa Monica in California attraverso 8 stati, la mia [...]
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I tre uscirono dal banco dei pegni armi in pugno. La soffiata ricevuta da Q era giusta. M stringeva al corpo la borsa sfilata al gestore. “Molto stupido prendere la pistola dal cassetto” pensò J. “Poteva cavarsela con poco invece che con un buco in fronte.” [pubblicato originariamente sull'account [...]
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Quando venni al mondo, primo di tre figli, partorito in casa al Parco Cis 299, pesavo un chilo e ottocento grammi. Ero scheletrico. Mia mamma piangeva e si disperava per questa situazione. Non bastava ciò, per disperarla, ma si aggiungeva anche il pessimismo del medico curante il quale non dava [...]
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Rubrus:I sogni e gli incubi assumono le forme più strane e quella del cowboy [...]