Trom posò il guanto corazzato sulla porta di legno della taverna. Le lanterne ardevano già, e il tramonto aveva lasciato dietro di sé un alone rosato su nuvole color latte. Quando i cardini gemettero, l’odore di fumo e maiale arrosto lo accolse come un vecchio amico.

Varcò la soglia. Si fermò. L’elmo oscillò appena mentre scrutava la sala. Occhi freddi, movimenti misurati. Cercava un uomo: alto, capelli lunghi neri, magro come un chiodo, un cappotto nero ricamato di ghirigori rossi alle maniche e al bavero.

Cinquanta scudi. Ci avrebbe campato per un bel po'.

Si mosse verso il bancone, ignorando i mormorii che lo circondavano. Le voci erano confuse, le risate piene di birra e sospetto. Da quando era arrivato nelle Terre di Confine, non c’era sera che non attirasse occhi. Un nano delle Montagne Rosse, così lontano da casa, non passava inosservato. E men che meno, con un’ascia nera sulla schiena.

-Ehi, guardate! Un nanerottolo coi capelli rossi!

Un pugno sul tavolo, risate.

Ci siamo. Ogni taverna aveva il suo idiota.

Non rallentò. Una mano gli piombò sulla spalla.

La voce strascicata gli urtò le orecchie. -Facci un’acrobazia, dai, canta. O balla!

Sospirò. Proseguì. E l’uomo inciampò all’indietro, trascinato dal suo passo deciso

Quattro uomini si alzarono in blocco, voci impastate e braghe sgualcite.

-Come osi aggredire il nostro amico?

Trom portò la manu al viso e oscillo il capo. –Humm. - Si accarezzò la barba intrecciata, s’impose un sorriso di circostanza. Si voltò con le mani aperte.

-Chiedo venia, lord. L’armatura si è impigliata nella mano del vostro amico. Non me n’ero accorto.

Gli sguardi si posarono sul metallo ammaccato, sull’ascia, sulle due daghe. I muscoli del nano si tesero sotto la cotta di maglia.

-In effetti...- disse il più alto, rivolto ai compagni. -...è stato lui a distrarsi.

Trom grugnì e si voltò. Una sedia strisciò sul legno. Si gettò di lato. Il legno si spezzò a terra, dove prima c’era la sua testa.

L’ubriaco cercava vendetta.

Si rialzò. La testa bassa, caricò come un ariete in calore. Centrò l’uomo nello stomaco e lo scagliò sul tavolo, tra brocche e urla.

Il bersaglio. Stava scivolando fuori dalla finestra.

-Maledizione. Cinquanta scudi che se ne vanno.

Si lanciò in corsa. Come un cinghiale travolse tavoli e sedie. Volarono in ordine sparso, qualcuno finì a terra. Urla e bestemmie lo seguirono nella corsa. Con una mano salvò un boccale di birra e bevve, prima di lanciarsi oltre il davanzale.

Atterrò in strada sul lato dell’edificio; puzzava di fango e letame. Cavalli legati sonnecchiavano tra le ombre delle baracche.

In fondo al vicolo, un lembo di stoffa nera sparì tra due case.

-Non mi scapperai.

Odiava correre. Le gambe corte, il fiato si esauriva in fretta. I nani scavano, combattono, camminano. Nessuno corre.

Svoltò l’angolo. Vuoto.

Si chinò. Una traccia: uno stivale consumato sul tallone.

-Non mi sfuggirai, bastardo. Parola di Trom Ascia Nera.»

E si mise in caccia. Perché una preda, lui, non l’aveva mai persa.

 

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