Cosa ci faccio nel cortile di un carcere a prendere la mia brava boccata d’aria? Me lo domando anch’io.

Tutto quello che so è che passeggiavo per il centro commerciale, facevo shopping con un’amica e a un certo punto qualcuno ha iniziato a fare tutto quel casino che poi si è visto in televisione. Io e Sandra siamo entrate in un negozio, spaventate dalla confusione. Quelli hanno iniziato a spaccare. A noi è venuta paura. Sono arrivati con le loro mazze anche dove eravamo noi, per fortuna ci hanno lasciate stare, ma il locale lo hanno distrutto.

 

Noi non capivamo nemmeno cosa stesse succedendo, ma siamo giovani, io ho diciannove anni, la mia amica venti, ed eravamo vestite come si vestono tutte le ragazze oggi, e quando la Polizia ha riportato la calma ci ha scovate dentro il negozio devastato e ci ha arrestate.

Hai voglia a raccontare che noi passavamo di lì per caso, che non eravamo mai entrate in un centro sociale nemmeno per sbaglio. Siamo finite dentro con un gruppetto di spostate che dicevano di averlo fatto per salvare la libertà e la democrazia, anche se diverse delle ragazze stavano zitte con gli occhi bassi, come noi due. Eravamo sempre più spaventate.

 

Sono qui da tre giorni, non mi hanno accolta male, temevo chissà cosa, ma probabilmente ho visto troppi film americani, qui dentro ci sono tante donne che potresti incontrare tutti i giorni per strada. Ci hanno anche dato una mano ad ambientarci, trattandoci come delle nipotine un po’ allocche.

E’ brutto poter respirare aria fresca solo un’ora al giorno, e sono già passati venti minuti, dopo si torna dentro ed è piuttosto noioso.

Sandra è uscita dopo un giorno, è venuto l’avvocato di suo padre e ogni cosa è stata spiegata. Vi starete chiedendo perché io sono rimasta, è una storia complicata e non è che ne vada molto fiera.

Un fatto è che mentre ce ne stavamo tutte spaventate dentro quel negozio un tipo grande e grosso ha spaccato con la sua brava mazza una vetrina, proprio di fianco a me. Un altro fatto è che quando siamo arrivate a San Vittore ci hanno fatto levare i vestiti. Cosa c’entrano queste due cose vi starete chiedendo.

C’entrano. C’entrano perché il negozio dove c’eravamo rifugiate io e Sandra era una bellissima gioielleria e nella vetrina che l’energumeno ha mandato in frantumi erano esposti dei bei braccialetti, orecchini, anelli. Non bigiotteria, gioielli veri, e io non ho saputo resistere e ho arraffato, pensando di filarmela indisturbata quando tutto si fosse calmato. Invece sapete come è andata e quando una signora dall’aria simpatica se non per la divisa delle guardie carcerarie mi ha dato un’occhiata senza i vestiti addosso è saltato fuori tutto, con tanto di cartellini col prezzo. Furto aggravato hanno detto.

 

Tempo scaduto, bisogna tornare dentro. La cella non è scomoda e tanta voglia di uscire non ce l’ho, perché mentre Sandra ha ricevuto le scuse dalle Autorità e un regalo dai suoi per aiutarla a riprendersi dallo choc io ho avuto informazioni riservate da quel che resta della mia coscienza che mio padre si è procurato anche lui una mazza e che ha intenzione di usarla direttamente sulle mie chiappe un po’ troppo abbondanti il giorno stesso del mio rilascio. Non posso dargli torto.

Milena, una cinquantenne dall’aria più dolce di mia madre che pure non sta in galera, che dorme nel letto accanto al mio dice di prenderla con filosofia, sfruttare le mazzate per tonificare la ciccia e imparare la lezione in maniera da non ritrovarmi in questo albergo, quando avrò la sua età.

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