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“Tu quoque, quercus!” Lo pronuncio come uno scioglilingua, più volte, con un’enfasi insolita per me che raramente mi esprimo con toni solenni.
Subito rifletto e smaschero il lapsus che nasconde il “tu quoque” riferito a un minuscolo esemplare di quercus che da due anni ha preso possesso di un angolo di vaso dove prospera, unica padrona di casa, la lobelia.
Quel “da te non me lo sarei aspettato” è in realtà una formuletta scaramantica, quasi a dire “tu però non mi tradire, caro quercus” perché so che molto dipende da te; perché, per quel che mi riguarda, ti vorrei avere davanti agli occhi, tra qualche annetto, come uno splendido esemplare di bonsai. In forza, saldo sulle radici costrette nel tuo contenitore poco giapponese.
Alla fine mi viene da chiederti scusa, caro quercus, perché la traditrice sono io. Tu te ne stavi lì, da due anni, nell’angolo con lobelia e io, da brava umana-adesso-ti-sistemo-io, ti ho collocato tutto solo in un vasetto a lottare con le tue radici monche obbligato a far da spalla a due ciclamini vanitosi.
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Utente Anonimo
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