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Quella porta antincendio mi aspettava chiusa alla fine del corridoio colorato metà bianco, sopra, e metà celeste, sotto. In realtà c'erano tante porte, tutte uguali, ma io sapevo che quella che avrei dovuto attraversare era l'ultima. Il richiamo della morte. Non riuscivo ad aprirla (forse mi stava preparando), ma poi capii che oltre ad abbassare la maniglia avrei dovuto girare la chiave. Si, difficile la porta, così come quello che c'è dopo. Spinsi e girai; un altro corridoio, più inutile del primo: c'era solo una porta già aperta sulla destra e, in fondo, un'arcata che rivelava un altare abbandonato con sopra un vaso pieno d'acqua stagna che lasciava uscire, quasi a voler scappare via da lì, una pianta talmente secca da non poterla nemmeno catalogare. Al muro una cornice che ospitava una Vergine Maria in lacrime e, sulla destra, appeso da solo, un piccolo crocifisso. Distolsi lo sguardo da quella piccola chiesa e mi sforzai di portarlo sulla linea orizzontale che separava il corridoio in due colori: quella linea mi avrebbe portato da lei. Non accetti il dolore fino a quando non lo provi. Questa è la regola in generale. I miei nonni, mia madre, una signora che ricordo a malapena dall'infanzia ed una perfetta sconosciuta, chi seduto, chi in piedi, la circondavano. Vidi i piedi vicini, poi le gambe sottili, il vestito nero addosso ad una signora anziana addormentata su un cuscino bianco. Le uniche cose che facevano contrasto erano il merletto bianco al collo, il rosario giallino arrotolato tra le dita e il santino funebre delle persone che aveva perso in vita. Dall'espressione rilassata non avrei mai detto si trattasse del suo ultimo letto di legno, forse solo dalla mascella serrata a forza e dagli occhi incavati. I capelli grigi ancora pettinati come amava farlo lei. Su due piedi non mi fece alcun effetto, ma sapevo a cosa andavo incontro quando decisi che quei piedi avrei dovuto muoverli per vederla l'ultima volta. ''Adesso sei contenta?'' disse mio nonno con una mano sul bordo della bara. ''Si ora va dal marito e da vostra sorella'' rispose la sconosciuta. Ogni passo, un dolore. ''Si preoccupava per tutti'' continuò la signora dei miei ricordi infantili. ''Era forte...una testa dura'' concluse mia madre del tutto sconnessa al discorso. Arrivai a vederla dall'alto al basso, e lì altro dolore. In un momento mi riaffiorò la sua risata, il suo lanciare baci in aria per salutare e la sua voce rilassante. Era una bella alternativa si, ma vidi gli occhi di mio nonno e immaginai mia sorella morire; vidi gli occhi della sconosciuta e immaginai mia nonna abbandonarmi; vidi gli occhi della signora e immaginai l'amica di una vita lasciarmi solo. Infine guardai gli occhi di mia madre e persi anche mia zia. Repentinamente divenni tutti e vidi tutti andare via e il dolore scoppiò. Dovettero passare dei minuti per smettere di lacrimare e di pensare. Quella era, seppure di secondo grado, mia zia. Era? Non so bene quando l'anima abbandona il corpo: se all'esalazione dell'ultimo respiro o solo quando si rende conto di essere una cosa separata dalla carne e dalle ossa. Una cosa è certa: mia zia non è più quel corpo ma resterà quell'anima. Non accetti il dolore fino a quando non lo provi.
Piccola stella, 27 April 2024
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Utente Anonimo
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Gennarino:stapelia grazie! Questo tuo commento mi ha commosso. Un abbraccio.
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stapelia:Benvenuto il mio pseudonimo è Stapelia e commento tutti, o quasi, per [...]
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Ci sta un posto qui vicino dove l’afa non dà noia perché il canto del ruscello puoi raccogliere e tenere dentro Ci sta un posto poco noto dove il buio si sopporta perché suona il violoncello una piccola ragazza bruna Ci sta un posto molto strano dove piangere fa bene perché sgorgano risate [...]
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