Una sera di maggio, l’aria tiepida e mite. 

Il nonno aveva già vissuto tutta una vita. Aveva provato a godersela, o a darle una direzione. Guardando indietro vedeva ormai con simpatia i tentativi in entrambe le cose, l'una per dar sbocco all'altra ma al tempo stesso in contrasto con essa. Tra insegnamenti ricevuti, pregiudizi, condizionamenti, errori, aveva ormai da tempo superato gli anni in cui si era chiesto cosa sarebbe stato se avesse fatto le cose diversamente. 

Aveva avuto 3 figli, due maschi e una femmina. Aveva avuto debiti. Aveva visto la guerra da vicino e la malattia. 

Aveva provato a capire nelle proprie gioie e nei propri errori come aiutare i propri figli a far meglio di lui, o forse non ci aveva provato abbastanza, troppo impegnato e incerto lui stesso nel capire quale fosse la strada da percorrere. 

Aveva visto i figli crescere, staccarsi da lui, prendere le proprie strade. Aveva realizzato che si capisce tardi il valore di certi insegnamenti, solo dopo aver prima sentito quanto possono essere limitanti. O forse il contrario. 

Soprattutto aveva compreso che gli eventi sono più veloci del tempo che serve per capirli pienamente. O forse che capire è un’illusione, perché le cose semplicemente accadono. 

Adesso era lì col suo nipotino, il figlio di sua figlia, in una tiepida sera di maggio, quando gli alberi non fanno più ombra e semplicemente risplendono. 

 

- Ti va un gelato? 

- Va bene, si, dopo. Ma adesso voglio giocare con te!

 

Gli tornavano in mente le ore passate col primo figlio a tirargli la palla perché ne ributtasse con la racchetta una di qua dalla rete. 

L’entusiasmo di un bambino è la cosa più bella che ci sia. Adesso però è diverso. Quando è il proprio figlio si vuole anche insegnargli qualcosa, si vuole prepararlo alla vita, si vuole dargli più possibilità di quelle che si sono avute. Da nonni si rivivono quei momenti con i nipoti, certo, ma non sono più i propri figli, si è già visto il seguito e saranno i genitori a voler fare per la loro prima volta quello che si era tentato di fare con loro, forse inutilmente, chissà. Così ci si gode semplicemente il momento. 

 

- E a cosa vuoi giocare? 

- A calcio! 

- Beh questo puoi farlo con i tuoi amici che ti diverti di più. E se invece ti insegno a giocare a Poker? Dai prendi le carte che ti ho regalato, quelle giganti. 

- E come si gioca? 

- Vince chi ha più carte uguali. Puoi cambiare quelle che non ti piacciono. Poi se hai una bella combinazione puoi puntare tanto, altrimenti punti poco. 

- Cosa puntiamo? 

- Noccioline. Eccole qua. A te. E a me. Adesso cambiamo le carte. 

- Ok, io cambio 3 carte come te. 

- Bene. Tocca a te adesso. Quanto punti? 

- Uno. 

- Uno anch’io allora, ho una coppia di jack. Tu cos’hai, ce l’hai una coppia? 

- Otto otto otto otto, e poi un asso. 

- Caspita, poker! Non si fa mica spesso sai. 


Il nipotino lo guarda inespressivo. 


- Dai, andiamo a prenderci un gelato va. 


Qualche anno dopo il nipote sta facendo sentire al nonno un brano che aveva imparato a suonare col pianoforte, il Notturno op. 9 n. 2 di Chopin. Era la musica con cui si addormentava da piccolo.

 

- Hai mai provato a suonare nonno? 

- Si, vari strumenti, anche in una band, ma adesso mi piace di più ascoltare te. 

- In una band? 

- Ma non eravamo mica famosi. 

- E cosa suonavi? 

- Il basso. 

- Il basso? E’ uno strumento strano, non riesco mai a distinguerlo. 

- E’ vero, si nota poco, però si sente se manca. 

 

Gli piaceva stare col nonno, trovavano sempre il modo di condividere qualcosa di nuovo. Forse cercava di insegnargli qualcosa o forse no, non lo capiva bene, perché non si arrabbiava mai, né lo forzava in niente. Non dava mai insegnamenti come fa un maestro, facevano semplicemente insieme delle cose, quelle che andavano ad entrambi. Erano amici, ecco. Anche se era il padre di sua madre. Anche se aveva insegnato a sua figlia, che poi aveva insegnato a lui. Non le stesse cose, certo. Forse alcune. 

Era rilassato, lo faceva stare bene. 

Il nipote non lo poteva capire ancora, ma di lì a qualche anno sarebbe arrivato per lui il tempo dell’impegno e delle decisioni importanti, si sarebbe cominciato a correre sulle montagne russe. Ma adesso erano ancora in quella quiete lui e il nonno, la quiete che li accomunava. 

Era come se sapesse tante cose, ma non gli andasse per niente di parlarne. Sapeva che non sarebbe servito. Sapeva di sapere quello che c’è da sapere, ma anche che non avrebbe potuto saperlo prima, quando ne avrebbe avuto più bisogno. Sapeva che non sarebbe riuscito a spiegarlo a chi doveva ancora arrivarci, non lo si sarebbe capito. Forse però sarebbe riuscito a farlo sentire. E qualcosa sarebbe rimasto. 

 

- Guardiamo insieme la partita stasera? – chiede al nipote. 

- Chi gioca? 

- Real Madrid - Barcellona. Gli spagnoli sì sanno giocare a calcio. 

- Però quell’anno in cui l’Italia ha vinto è stato bello festeggiare. Ti ricordi la gente in strada? 

- Si certo. Non te lo dimenticherai, vedrai. 

- Avevo però promesso a una mia amica di studiare assieme, te la prendi se salto la partita? 

- Ma no - ride - mi arrabbio se non ci vai. 

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