Sono nato a mezzogiorno del 16 dicembre del 1966. Era un freddo venerdì.

Credevo di essere venuto al mondo con uno scopo. Quello di vivere e di cercare di descrivere la vita. Di pennellarla, di intessere la maglie, le spire che la delineano. Immergermi in quelle gerarchie aggrovigliate dell’esistenza fino a scioglierne i nodi, imperscrutabili ossimori di controsensi, di scelte errate, di traguardi luminosi, di gioie rubiconde rubate, di follie ammantate dei stelle e baci e smaniose carezze, di corse oltre il limite, di schianti, di rinascite. Porgermi nel confronti di ciò che mi circonda come una roboante antenna che riceve ed emana segnali di vita. Che traduce attimi di esistenza sgocciolante in emozioni, sensazioni, stupori, sorprese. Decifrare l’uomo per l’uomo. Per la gente distratta, per la signora assopita, per il ragazzo smunto, per l’anziano ottuso. Almeno è quello che credevo prima di incontrare te. Prima che il destino ti mettesse sui miei passi. Prima che i miei occhi si posassero su di te che del sole hai la luce, dell’estate hai il profumo, della vita hai il respiro.

In quel momento ho appreso che nulla aveva senso. Non avevano senso il mio impegno, i miei voli, le mie cadute, i miei slanci, la mia tenacia o il mio intento se non potevo condividerli con te. Se non potevo avere la tua attenzione, il tuo amore. Il tuo calore. Perché nulla ha senso se tu non ci sei. Nulla avrebbe uno scopo, una fine o un inizio se tu non fossi qui, su questo lembo di terra che mi appartiene intriso del mio sangue e della mia carne, nel mio spazio che adesso è il tuo, nel mio orizzonte che ha del tuo corpo la forma. Perché io sono qui per te. Perché io senza te non esisto. Sono povero, un fuoco fatuo, privo di speranza, di passione, di interesse.

Sono nato a mezzogiorno del 16 dicembre del 1966. Adesso so il perché.

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