Me ne stavo lì, a osservare il cielo tingersi di sfumature dorate, con il vento sempre più pungente, man mano che la sera avanzava verso il giorno. Era ora di rincasare, nessuno aveva mie notizie da ore ormai. Quella passeggiata si era rivelata una piccola fuga dalla realtà. Dalla mia realtà.
La spiaggia sotto di me, il cielo dorato e l’infrangersi delle onde contro gli scogli, mi trasmettevano un senso di pace e libertà che raramente avvertivo. Sebbene vivessi circondata da persone che mi amavano, mi sentivo terribilmente sola, svuotata da ogni piccolo barlume di speranza. A soli vent’anni, sentivo la mia vita scivolare in un baratro, consapevole che essa non avrebbe mai preso la piega che speravo.
Da piccola avevo molti piani, quali apparentemente mi rendevano felice ma crescendo, iniziai a capire che essi erano dovuti ai sorrisi dei miei cari. Erano felici di avere una figlia con aspirazioni importanti. Diventare avvocato per difendere i deboli, era un’ambizione che mi sforzavo di mandare avanti, per i miei genitori. Quelle idee, però, non mi appartenevano. Nulla di quell’ipotetica, perfetta, vita mi apparteneva. Così, a soli pochi anni dal diploma, mi ritrovai con un lavoretto da quattro soldi, che detestavo, e tanti sogni per la testa che non si sarebbero mai avverati.
In tutto quel tempo, ero riuscita solo a porre le fondamenta di un sogno che avrei tanto voluto realizzare: un libro che non riuscivo a terminare.
La mia vita, da qualche anno, somigliava ad un costante percorso a ostacoli. Ad ogni passo, mi ritrovavo davanti enormi barriere rocciose, difficili da oltrepassare. Provavo e riprovavo, le mani mi dolevano, le gambe scivolavano, stanche, e la forza di superare anche quell’ostacolo scemava ad ogni lacrima versata su quella superficie dura, ad ogni tentativo invano. Mi sembrava di essere in quel punto da troppo tempo. Mi sentivo risucchiata, giorno dopo giorno, verso il fondo di un oceano, sopraffatta dalla tristezza, dallo sconforto, come se il mondo ruotasse contro di me; come se volesse schiacciarmi con il suo peso e cancellarmi per la mia inutilità. Ero una macchia nera su una tela colorata. Me ne stavo lì, a veder scivolare via quegli attimi che la vita non mi avrebbe mai più restituito, completamente immersa in quella nube densa e ostile. Contemplavo la mia sconfitta davanti all’universo che si beffava di me. Ero uno dei suoi fallimenti, inutile come una moneta da un centesimo, con la quale non si può comprare niente. Con la testa fra le braccia, accovacciata sulla sabbia, pensavo a come sarebbe stata la mia vita, se solo avessi avuto la forza di reagire davanti ad ogni nuovo, maledetto, ostacolo. Ero vittima dei miei stessi sogni, quali non smettevano di affollarmi la mente per illudermi e ferirmi. Ero vittima di me stessa, della mia paura di fallire e del timore di non essere all’altezza.
Sognavo una vita divertente, lontana dalla monotonia, ricca di esperienze, libera dai confini che non riuscivo ad oltrepassare.
Me ne stavo lì, a vivere le ultime ore di quel giorno, con la consapevolezza che quello successivo sarebbe stato uguale, o forse anche peggio. Stavo lasciando che la vita mi scorresse addosso senza poterla toccare davvero. Mi stavo lasciando andare al caso, vivendo quelle giornate con la sola voglia di tornare a letto, la sera, per dare inizio al mondo che desideravo. Avevo costruito una realtà snervante, sconosciuta ai miei occhi.
Io non stavo vivendo. Stavo accondiscendendo alla piega che la mia vita stava assumendo solo perché ero troppo codarda.
Quello non era vivere ma sopravvivere.
Odiavo la sensazione che avvertivo, un sonno interiore dal quale non riuscivo a destarmi, un intorpidimento continuo che eclissava le mie emozioni, i miei sensi. Sapevo che questo mio modo di vivere non poteva durare a lungo, dovevo fare qualcosa non solo per me, ma per tutti quelli che mi volevano bene e che, fino a quel momento, avevano conosciuto una ragazza diversa, spaventata, piena di timori, di confini.
Non potevo permettere al mondo di schiacciarmi. Dovevo trovare la forza per salire in cima e ammirare il panorama. Quegli ostacoli non dovevano essere altro che la mia scaletta verso il mondo. Scalino dopo scalino, sarei arrivata a livelli più alti, e ad ogni livello avrei incontrato nuove persone, fatto nuove esperienze.
Ed ecco oggi.
Me ne stavo lì, non più sulla battigia, a immaginare una vita migliore, ma in una bellissima sala conferenze, davanti a tantissime persone che ascoltavano in silenzio un piccolo estratto del mio libro. Sì, quel libro per anni incompleto. Ero felice.
Non ero più il fallimento dell’universo, l’inutile monetina. Non ero più vittima di me stessa, dei miei sogni. Loro erano parte di me, non volevano illudermi ma spronarmi affinché potessi farcela.
Perché io potevo farcela, dovevo solo volerlo con tutta me stessa, con ogni fibra del mio essere, fino all’estremo delle mie forze.
Stavo vivendo, esattamente come desideravo, con le persone che amavo in prima fila, con una grande voglia di oltrepassare un nuovo ostacolo e guardare oltre i confini per vedere l’orizzonte, quella linea sottile tra il finito e l’infinito. Potevo toccare con mano la mia nuova vita, sporgermi per afferrare ciò che mi spettava di diritto: la felicità, la gioia, la forza interiore che mi aiutava ad andare avanti, per non accovacciarmi ai piedi delle mie personali montagne.
Avevo avuto per anni la mia scappatoia senza accorgermene. Era rinchiusa fra le pagine di un vecchio quaderno, riaperto per caso dopo la morte di una persona a me tanto cara. Fu proprio il giorno in cui i dottori ci comunicarono la sua morte, esattamente quel pomeriggio sulla spiaggia, che capii quanto importante fosse vivere fino alla fine, anche quando tutto è buio e non si trova il coraggio di lottare. Proprio quella sera, dopo esser tornata, il tonfo del quaderno caduto sul pavimento, mi aveva destata dal pianto scoraggiante. Mi chinai per riporlo al suo posto e tornare, il prima possibile, a piangere, ma proprio in quel frangente, la foto di quella persona, cadde sulla copertina spiegazzata. Fu un sussurro al mio cuore. Lei mi aveva indicato la via. Quella era la mia possibilità, nata da un semplice avvenimento che mi cambiò la vita.
E ora eccomi qui. Non più a sopravvivere. Quello era il passato. Adesso c’era solo il presente.
E nel presente, io vivo.