La città dormiva ancora in quella fredda mattina di novembre mentre il Tevere scorreva placido coperto da una leggera nebbiolina che andava lentamente diradandosi lungo le sue rive di freddo cemento.
Dall’altra parte del fiume il profilo di Castel Sant’Angelo appariva senza tempo con il suo arcangelo guerriero avvolto dai raggi rossi di quel sole nascente da farlo sembrare quasi vivo.
Gli occhi verdi di Lucius erano puntati proprio su quella statua mentre scendeva i gradini per raggiungere le sponde del fiume, le dita armeggiavano con l’ipod giallo e le sue dannate cuffiette sempre troppo ingarbugliate quando servivano.
Con un sospiro fece partire la canzone e iniziò a correre stringendo forte i pugni, il ponte Amedeo apparve davanti a lui.
Le gambe si mossero da sole, scattò in avanti con violenza, tanta da far cadere Ipod per terra, il rumore di plastica che impatta sul cemento spezzò il silenzio che avvolgeva quel luogo.
Lucius fu costretto a fermarsi, nel voltarsi si accorse che non c’era niente per terra; soffocando un’imprecazione tornò sui suoi passi gettando un’occhiata anche verso il fiume preoccupato.
-"Che bella voce! Chi è che canta?"
Girando su se stesso gli occhi verdi incrociarono una figuretta piccola e pallida, una bambina di appena dieci anni con un bel prendisole giallo canarino e una cascata di capelli rossi che ne incorniciavano il viso tondo, stava sorridendo, teneva una cuffia contro l’orecchio mentre ascoltava la canzone.
- "Mia sorella."
- "Forte! E’ una cantante?"
-"Canta nel mio gruppo, i
White Wings. Però la versione di
Let it be che senti l’ha arrangiata lei."
Gli occhi della piccola a quelle parole parvero illuminarsi, come se avesse improvvisamente trovato una risposta ad una domanda che non aveva il coraggio di fare.
- "La conosco! Mio papà la suona spesso, dice che secondo lui avrà successo. Lui… me la canta tutte le sere e le mattine, anche se dormo dice che sento. Ed è vero, io lo sento il mio papà che canta."
Nel dire quelle parole la sua voce si fece improvvisamente più dolce, Lucius si avvicinò di qualche passo, e nel farlo si accorse che i riccioli rossi nascondevano una benda bianca. La bimba non gli staccava gli occhi di dosso anche se dondolava un po’ adesso.
- "Tu sai cosa vogliono dire le parole? Inizio inglese il mese prossimo nella nuova scuola, non la capisco."
Sfilando la cuffietta dall’orecchio sospirò avvicinandosi alla riva del fiume dove si sedette, le labbra si incurvarono verso il basso. Non sarebbe stato facile riavere quell’aggeggio, la seguì verso la riva osservando appena il ponte Amedeo mentre si sedeva.
- "Non penso di avere molto tempo per…"
- "Dai, solo un pezzettino! Ti prego!"
Gli occhioni azzurri di lei così limpidi, lo costrinsero a distogliere lo sguardo mentre stringeva il tessuto della felpa e fissava le acque scure del Tevere.
-
"Quando mi trovo in momenti di sconforto mamma Mary viene da me pronunciando parole sagge, lascia che sia. E nella mia ora di buio lei resta di fronte a me dicendo parole sagge, lascia che sia. La prima strofa dice questo."
- "E che significa?"
- "Significa che le cose spesso peggiorano prima di migliorare… e quando peggiorano bisogna lasciare andare, si sistemeranno. Bisogna non perdere la speranza."
- "Ah, tipo come le acque zozze del Tevere… che quando nascono sono belle, poi si sporcano e quando arrivano al mare tornano belle."
- "Tipo, si."
Quella metafora lo fece ridere e nel voltarsi a cercare lo sguardo della bimba la vide allungare una mano verso il proprio volto per raccogliere quella lacrima solitaria.
- "La mamma lo fa sempre con il papà. Gli dice che non deve perdere la speranza e che non è stata colpa sua. Ed è vero, sai? Lui me l’aveva detto di non correre così vicino al fiume. Vorrei tanto dirglielo."
Quel tocco era stato così lieve da percepirsi appena, come vento che ti sfiora la pelle, ritirò lentamente la mano abbassando lo sguardo triste.
- "Perché non glielo dici?"
- "E’ tardi. Ora sono andati via, lontano lontano. Ma io… io ero in quel letto e non potevo parlare, sentivo tutto e non potevo parlare e muovermi e… volevo dirglielo al mio papà, capisci? Ma ora è tardi…"
- "Non è tardi."
- "Dici?"
Lucius annuì sorridendole con sicurezza mentre portava le ginocchia contro il petto abbracciandole, aveva vent’anni suonati ma era ancora un bambino.
- "Una volta mamma e papà ci persero al supermercato, me e mia sorella. Io piangevo disperato ma… Lucia mi prese per mano portandomi alle casse e li abbiamo trovati. Quando li ha visti arrivare si è messa a ridere e mi ha detto: “Vedi? Lei viene sempre qua. Lei passa sempre da qua, non potevo sbagliarmi!” Dov’è che va sempre la tua mamma?"
- "Al parco. Dici che la trovo là?"
- "Dico di sì."
A quel punto lei si alzò in piedi e iniziò a ballare lungo la riva del fiume, era felice e i suoi movimenti erano così colmi di energia, sembrava fluttuare.
- "Stai attenta!"
D’istinto si spinse in avanti per prenderla ma lei con un saltello indietro sfuggì, fermandosi di colpo.
- "Sai, non è nemmeno colpa tua… è che di tanto in tanto il Destino è un bambino cattivo."
Quelle parole furono come uno schiaffo in pieno volto, Lucius aprì la bocca per parlare ma non uscì nessun suono, cercò solo con lo sguardo il ponte Amedeo e quando tornò sulla piccola lei era scomparsa, al suo posto ipod lasciato per terra, che raccolse con un gesto spaventato alzandosi in piedi per guardarsi intorno.
Non c’era traccia della bambina.
Lo squillo del cellulare lo riportò alla realtà, lo tirò fuori dalla tasca e rispose.
- "Mamma adesso torno… sta.."
-"Si è svegliata"!
-..."Eh?"
- "Lucia chiede di te, si è svegliata. Ma dove diamine sei…eh? Dai, corri!
Tirò via il cellulare dall’orecchio fissandolo come un idiota, sentiva perfettamente la voce della sorella che rispondeva ai medici con la sua solita voce assonnata, quella da post sbronza che conosceva bene.
- "Lucius…?"
- "Passale il telefono, Ma'"
Marilena che era a qualche passo dal letto della figlia attorniata dai medici ne incontrò lo sguardo proprio quando l’altro figlio le faceva quella richiesta. Lucia allungò semplicemente entrambe le mani verso di lei, neanche avesse sentito lei stessa le parole del fratello. La donna non perse tempo avvicinandosi a lei per sistemarle vicino l’orecchio il cellulare.
- "I…Idiota."
- "..."
Era la sua voce, non poteva sbagliarsi, avevano vissuto tutta la vita l’uno al fianco dell’altra odiandosi e amandosi, avevano condiviso persino il ventre della loro madre prima di nascere.
-"V…Vieni?"
Era lei, la sua parte buona. Sua sorella, era tornata, era davvero tornata. Felice come un pazzo annuì fra le lacrime, ridendo.
- "Certo che vengo, mi faccio a nuoto il Tevere e vengo, Lu'. Non te ne andare, aspettami eh?"
- "Cre…tino."
Mentre lei parlava lui stava già correndo verso l’isola Tiberina dove si trovava l’ospedale, passò senza neanche accorgersene sotto quel maledetto ponte Amedeo, con il cuore leggero.
Stava per dirle altro, ma i medici allontanarono sua madre con un ammonimento, c’erano controlli da fare, esami da programmare per quella vita riconquistata.
Non disse altro lui, chiuse la chiamata.
Potevano farle tutti gli esami di questo mondo, sua sorella era tornata e l’incubo iniziato due mesi prima su quel dannato ponte era finito, il Destino non aveva vinto.
Il cellulare finì in tasca, e le cuffiette tornarono al loro posto nelle sue orecchie, con un sorriso pigiò su
play:
I wake up to the sound of music, Mother Mary cames to me, speaking words of wisdom… Let It Be.