Alla banchina dei pensieri poggiai le impronte e il respiro mentre il mondo tratteneva sott’aria il fiato. Succede che i ricordi si stropicciano contro le porte del fegato, sono gatti randagi che fanno le fusa alle gambe mollicce del cuore e io penso a quando mi dicevi sempre, e sapevi di insolenza e pubertà, che io e te eravamo amore che si affretta alla vita, tu dicevi due rotaie messe un po' li a caso, vai a capire se dare la colpa al signor destino o al signor dio e mentre io parlavo di traiettorie di sguardi ferroviari tu dicevi il rosario e l’aggroviglio dei copri nudi bruchi anche se in realtà, aggiungevi, non s'incontrano mai, e tracciavi su un foglio due linee parallele,e dicevi vedi? ma io che ero ancora più sfrontato di te ti dicevo che sbagliavi (!), che esistono le coincidenze, che a un certo punto dovranno pur incontrarsi e che poi che ne sa la geometria di che cos'è fatto l'amore, metti che è fatto della stessa sostanza del mare e all'improvviso l'orlo di un'onda impazzita travolge i binari, e i legni si mischiano, e i ferri si sfaldano, e tutto si unisce e noi due ci incontriamo.
E io allora avrei disposto gli scalini al contrario, e mi sarei improvvisato artigiano, della ferrovia t'avrei fatto una scala, tu Giulietta io Romeo, così avrei potuto salire al balcone anziché amarti a distanza, e avremmo raggiunto tu Wendy, io Peter ancora più in alto, forse forse la luna, e da lì m'avresti detto io Apollo 11, tu Armstrong, che l'infinito è a pochi passi da qui.
Il treno che avremmo preso sarebbe stato quello dei desideri, e tu avresti parlato fermentato impazzito mi avresti e avremmo giocato a fare l'amore e a chi indovina prima chi, e ci saremmo inventati le storie degli altri perché incapaci di dire la nostra, e io avrei osservato come le parole ti fuoriuscivano dagli occhi, giuro questo è l'unico segreto che condivido con dio , e gli occhi, un vecchio disse che negli occhi delle persone si vede quello che vedranno e non quello che hanno già visto, i tuoi si offrivano spalancati come saracinesche che davano sul mondo ed io così le avrei sostituiti ai finestrini sporchi di un metrò e ci avrei dipinto dentro tutte le età che non ti furono mai concesse.
Poi di pittura e di fuliggine ci sporcheremo le mani perché non siamo nati puliti e con la bocca imiteremo il tramtram del treno in corsa, e impazziremo in schioppi di rosa da matti e il resto del mondo per matti ci prenderà, rimarremo folli e soli ma, in fin dei conti, sarem(m)o (stati) felici.
Io ti sospiro e tu mi man—tieni : o almeno questa era la promessa (giuringiuretta) iniziale.
Perché non so cos'è successo, c'è chi dice che hai sbagliato treno, chi invece direttamente stazione, altri sostengono che tu non ti sia affatto presentata, altri ancora che tu abbia cambiato (in segreto) orario, vai a vedere se dare la colpa a quel professore che mi parlò di convergenze parallele, oppure forse cambiasti nome (come fanno i pellerossa, dicevi, quando segnano e dicevi augh lungo il metro della vita un centimetro di maturità in più), siamo forse di una razza diversa io e te, e tutt'un tratto il rumore delle nostre risate, e ti ricordi che dicevo che quando ridevi sembravi un firmamento d'armonie, e se non fossi stata malata saresti stata mus(ic)a, è sparito e s'è confuso col frastuono del treno e poi niente rimase, solo quello stupido tramtram di quello stupido treno e io stupido che non ti trovavo.
Ma dov'era la tua voce, mi chiedevo, dove sei andata a finire, e t'ho cercata eccome se ti ho cercata, nomade ti chiamavo per prima alla stazione perché dicevi fosse il posto degli arrivi e mai delle partenze e poi interrogavo le polaroid che mute a metà dimenticate dal bordo delle macchinette guardano il fondo delle banchine metropolitane e nei volti della gente che passa di fretta e non guarda né ride né vive (e allora io capisco che neanche quella sei tu) e mi lancia una moneta addosso e nelle figure delle monete ti cerco, mettiamo il caso che fossi diventata famosa e avessi pensato di non aver più nulla da spartire con me.
Finché alla banchina dei pensieri mi sono fermato e ho detto se non sei qui non sei da nessun'altra parte e d'improvviso mi sono toccato il cuore così solo alla fine, ho capito : hai tolto il sonoro e io sono rimasto muto.
Ho comprato due biglietti per altrove e ho aspettato quasi per il resto della vita che tu tornassi, cane fedele che non sono altro.
Ho contato per tredicimilasettecentoquattordici volte le fermate ferroviarie, ma i conti non tornano e allora io ricomincio di nuovo da capo, ho imparato a memoria le facce di questi migranti e coinquilini e viaggiatori, e loro pendolano tra una casa e un lavoro, ed io funambolo lungo il filo dell’attesa.
Con gli ultimi risparmi ho acquistato due abbonamenti annuali (dico, nel caso volessi tornare potremmo concludere questo viaggio insieme) e una macchinetta fotografica affinché ritraesse giorno per giorno la seggiola vuota affianco la mia (la tengo libera per te, dico, nel caso volessi tornare) : dunque, la cronologia della tua assenza (da rinfacciarti con disprezzo misto a compassione dico, nel caso volessi proprio tornare).
Ho con me una valigia che trasporta i miei vestiti e i tuoi sogni, e i tuoi sogni sembrano leoni volanti, perché sapevo che ti saresti pur dimenticata qualcosa prima di andartene, signorina smemorina (e a questo punto mi saresti piovuta come acqua liquefatta addosso).
Allora ho cucito le mie labbra con il filo delle promesse a cui mi ero aggrappato affinché l'Eco smettesse di deridermi e mai più ti chiamasse Narciso e poi ho confuso il mio nome col tuo perché l'unico convoglio che conoscessi fosse quello pronominale e potessi pensare tu, mia ed io di nessuno.
Poi allergico alla parola che s’aggrovigliava sillabante sulla bocca (dello stomaco) vomitai mutismi sottovoce finché non imparai ad iniettarli endovena, e ciascuno diceva il tuo nome al contrario così che nessuno capisse e mi compatisse e ti chiamasse puttana e ti maledisse, e solo io mi compativo e dicevo puttana e l'amore faceva di noi un eterno appuntamento in stazione.
Poi dicevo dio, e solo alla fine mi venne di disegnare, ma come non ho fatto a pensarci prima, ho disegnato sul binario una porta, metti che sei diventata un fantasma e ci sei passata dentro e poi lo spinsi e ci corsi contro e ci sbattei la testa e non mi bastava più il sangue e neanche il sudore per dipingerci una maniglia qualsiasi e quattro le dita rotte.
Ma in fondo cos'è quattro fermate di mano contro tredicimilasettecentotrentasette fermate di cuore? D'improvviso compresi e le acque interne congelarono e dilatate erosero le pareti di questa carcassa inutilizzabile di un corpo maledetto e mi dissi stupido e ti dissi stupida non vedi e io lo comprendo tutto d’un fiato che la morte, la morte è solo un binario tre quarti, capisci, uno stupidissimo binario tre quarti e, io Orfeo tu Euridice, non posso squartarmi perché sono nato intero.