Il disordine impazzava quella sera.

Fiumi di robaccia fatta a pezzi per tutta la camera.

Una ragazza ballava e si dimenava mezza nuda sul tavolo.

Ai lati si potevano notare due ragazzotti, molto più piccoli e innocenti di lei. Avevo sentito parlare di Eveline da mio cugino che evidentemente la conosceva bene.

-Guarda qui- mi invitò.

E mi fece vedere le foto di lei, mentre ubriaca o fatta, sdraiava su un letto, ricoperta di uomini e altra voglia. Era quello un periodo in cui mi circondavo di donne strane, ognuna indipendente e vuota.

Vivevo da solo, in un sputo di posto.

Avevo ricoperto le pareti di piccole fotografie, ogni angolo era occupato, non vi era un solo, fottuto angolo, su cui ci si potesse passare un dito.

Vivevo in una camera oscura. Raccolsi le fotografie, ricordo, da due cassetti stracolmi, accumulate negli anni. Ne feci una cernita e tenni le più brutte, quelle che tutti scarterebbero.

-Eveline, io non sono tutti!- le ricordai quando venne a trovarmi -Ne ho le palle piene d’esser pazzo, silenzioso. Voglio farlo sapere a tutti che son pazzo. Tutti devono smettere di compiacermi. So farmi male da solo, e lo so far bene-.

Preparai un terzo d’ogni liquido e mischiai, dal basso verso l’alto.

-Vuoi? Si, grazie- disse Eveline

 -Osservane il colore. Ammira. Non è rosso, è il colore che io decido di donargli- dissi su tutte le inutili furie.

Aspettavo la sua conferma.

Desideravo quella cazzo di conferma: non era rosso! Era il colore che io avevo deciso di dargli! ( Non era che rosso, un maledettissimo rosso..)

La buttai fuori, come si fa con una scarpa dalla finestra e con l’arroganza tipica d’un pazzo.

Le scrissi un attimo dopo di tornare quando ne avesse avuto voglia.

Restai tutta la notte a guardare il bicchiere, poi ne preparai altri sei e li bevvi senza fiato: i colori che intravedevo erano una scala cromatica fluorescente.

Fumai senza sosta. Fremevo d’irrisolto. Cominciai a grattarmi la testa e mi scavai un mezzo solco, poi passai alle cosce. Sgorgò del sangue, mi fiondai in bagno e scambiai l’alcool con l’ammoniaca, mi ustionai e crollai sul pavimento.

Il mattino dopo riuscivo ad aprire un solo occhio, l’altro bruciava. Lo avevo strofinato con le dite imbevute d’ammoniaca.

Cazzo se bruciava!

Cercai il telefono nella confusione della mente. Chiamai Michael e gli chiesi di portarmi un quaderno, dei fogli bianchi e del vermouth, l’altro ancora gocciolava sulle piastrelle.

La paura di restare senza un terzo d’ingrediente divenne incontrollabile. Urlai.

Michael si presentò con tutto quello che avevo chiesto.

-Quanto ti devo?- chiesi con un filo stridulo di voce e sapendo di non aver un soldo.

-Lascia stare- rispose Michael. Poi continuò- ma che cazzo hai fatto all’occhio?-

- Niente. Sarà che ho dormito male-

Non credette ad una sola parola e insistette:

- Sei pazzo a voler restare qui con quell’occhio e quel sangue. Non fare la testa di cazzo, alza il culo e andiamo!-

Gli urali qualcosa.

Michael bestemmiò e lascio la stanza.

Chiuse la porta con un gesto inconsueto e la fragile dimora emise un suono sproporzionato. Con qualche briciolo di forza mi alzai e mi scaraventai sul divano: tirai fuori l’ingrediente dalla busta! Il rosso che mancava! Mi dissi.

Diedi un calcio alla bottiglia gocciolante che giaceva a terra, era rotta e mi infilzai un vetro sotto la pianta del piede. Dolore stupido e inutile. Nulla. Rosso. Corsa al colore magico.

Aprì le due ante sopra la tv e presi tre dosatori che qualche sera prima avevo scambiato per una poesia su commissione ad una barista arrivista. Li inforcai sopra i tre colli , tenni il gin in una mano, il vermouth e il Martini nell’altra, versai.

Versai come orgasmo. Pieno di me salivo sul trono.

Osservai attentamente il post rituale: mi accorsi che era un tenue, un rosso tenue, proprio come desideravo. Chiamai Eveline:

-Vieni da me. Devo farti vedere una cosa-

Dopo un ora mi raggiunse e mi osservò palpitante nel  “laboratorio” che avevo costruito, immobile ad osservare lo spettacolo, poi dissi:

-Finalmente! Osserva. È questo ciò che so fare!-

-Ma tu sai fare altro: sai scrivere. Non esser pazzo. Ti prego-

- Eveline, io non scrivere e son pazzo. Ma per fortuna so anche scegliere i colori-

Ce ne andammo in camera, finimmo di darci sesso.

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