Chissà che cosa ha significato la vita per te. Se ti penso, mi viene in mente un foglietto piegato in tante parti. Ma se lo apro non c’è scritto nulla, è vuoto.
Tu, che hai vissuto negli anni del boom, millanti un’esistenza dura fatta di sacrifici e rinunce. Senza una madre. Questo dici sempre.
Pure io senza una madre.
Da sempre, quando ti guardo camminare ti vedo come un contenitore vuoto, con le spalle basse, piegate verso l’infelicità, incapace di perdonare qualsiasi mancanza. Eppure, in casa sei stata la regina, hai regnato con estremo controllo, parsimonia negli affetti e nelle spese. Nulla, secondo te, sfuggiva al tuo sguardo. Però da te siamo scappate. Siamo scappati tutti, fino a che il nostro cuore ce l’ha consentito.
Ognuno per conto proprio ha ruotato intorno a chi ti ha permesso di vivere. L’unica persona per la quale sia valsa la pena di tornare; il solo uomo che, oltre a essere padre premuroso, ci ha insegnato che cosa sia l’amore. Forse è morto consapevole di non aver fatto la scelta giusta sposandoti.
Ora sei un contenitore vuoto, arrabbiata perché pensi che non ti portiamo rispetto. Delusa, perché sei sopravvissuta a te stessa. Addolorata perché non conti più nulla. Feroce nella tua rabbia che covi crogiolandoti come fosse un severo e indispensabile esercizio quotidiano.
Ero piccola e per sfuggirti non mangiavo. Ti davo fastidio, perché non ti lasciavo giocare alla famiglia felice. Mi vestivi bene e mi facevi fare le foto di Natale da mandare agli amici. Non sorridevo mai e questo lo pativi.
Ti ho rovinato la vita - sostieni -. Lo spero davvero, perché così mi sono salvata.
Ora aspetto con pazienza che il tuo volto sbiadisca, esattamente come fa la candeggina sulle magliette troppo sporche. Non ti voglio bene, non ti odio. Di te mi sono liberata e attendo solo che non mi rimanga niente.