La storia delle cose è la più antica delle storie.

 

C'è chi sostiene che non sia mai iniziata, e che un tempo lontano un vecchio stregone si sia improvvisato narratore.

Non vi era parola più vera, e al contempo misteriosa, di quella dello stregone. Vecchio di almeno duecento anni, con la pelle più dura e ruvida di un grande arbusto. Tutti gli uomini credevano in lui, nella sua parola spesso silenziosa, informe, eppure tanto vera. Gli uomini riponevano in lui le grandi speranze e affidavano alla sua saggezza i più tormentati dubbi. Qualcuno penserà “che stolti” erano gli uomini un tempo. Ma la verità è che lo stregone aveva saputo conquistare la loro fiducia con imprese straordinarie, ancor prima che con le parole.

Arrivò solo con i suoi grandi occhi e un bastone fatto di siliquastro, detto anche Albero di Giuda. Era la sua forza e la sua condanna, poiché i suoi anni poggiavano su di esso e tutti i suoi pensieri in esso riflettevano. Talvolta gli uomini capivano che lo Stregone era triste, poiché tra le tonalità grigie nerastre, spiccava il pianto. Ma quando egli era felice, si assisteva a uno spettacolo incantevole. Dal bastone fioriva l’allegria sorridente, piccoli boccioli esplodevano in un’armonia di rosa vivace poi lilla, e foglie grandi come una mano di un verde tinto di speranza danzavano leggeri nell’aria. La natura rispondeva all’anima dello Stregone, con esso gioiva, con esso si crucciava.

 

Tra la folla attenta e desiderosa di sapere, un piccolo uomo vestito di rosso allungò la mano verso il cielo.

Quasi lo sfiorò.

Era il cielo dei tempi passati e dimenticati, e l'orizzonte correva libero davanti agli occhi di tutti.

A quei tempi però nessuno degli uomini era in grado di dare un nome al cielo. Nessuno sapeva davvero cos'era quel manto disteso di un azzurro abbagliante.

Eppure, lungo quella scia luminosa e inafferrabile, i sognatori si rifugiavano, i piccoli e i grandi condividevano lo stesso posto nel mondo, ma non vi erano regole dedite all'ingiustizia, né privilegi senza meriti o condanne senza colpe.

Ognuno coltivava quel pezzetto di scia luminosa che separava la terra dal cielo. Ognuno lì nutriva le cose, dalle più piccole alle più misteriose. Così facendo, curavano l'anima e alimentavano sorrisi, assicurando ai posteri una buona storia da custodire e tramandare a loro volta.

Quei tempi lontanissimi gli uomini parlavano poco e ascoltavano tanto. Infatti avevano bocche piccole e orecchie grandi, e nessuno possedeva, nelle tasche o nelle proprie case, i frutti del progresso. Poiché il progresso, semplicemente, non esisteva.

Quegli strani ominidi passavano i giorni a guardarsi negli occhi, a seguire le labbra appena pronunciate dei vicini. Condividendo storie e lacrime, sconfitte e vittorie.

Sotto i primi portici delle case, ai bordi delle strade e sulla porta del lattaio.

Sì, in quei tempi lontanissimi esisteva il lattaio, anche se nessuno allora, sapeva davvero chi fosse.

Si dice che molti di quegli uomini se ne stavano seduti tutto il giorno a guardare il cielo. Con la testa all'insù, le braccia mezze morte a dondolare e gli occhi grandi, grandissimi. Era bello, perché in quegli occhi si vedeva il cielo in miniatura.

Erano grandi e curiosi, gli occhi di tutti. Ma nessuno di quei numerosi occhi somigliava a quelli dello strano e piccolo uomo vestito di rosso.

Mentre lo stregone articolava le mani come a muovere pensieri e riordinare parole, il piccolo uomo spuntò dalla folla interrompendo il rito. Il silenzio copriva persino i respiri dei presenti, tutto si fermò in quell'istante unico, e una voce mai udita arrivò da sotto il tabarro del piccolo uomo.

"Non puoi raccontare alcuna storia, vecchio stregone!"

Il silenzio divenne un fitto brusìo, tutti puntarono i grandi occhi sullo sconosciuto attendendo dell'altro. Impazienti, bramosi di sapere.

"Ne ho infinite, di storie da raccontare" rispose il vecchio stregone.

"Non è vero. Hai le storie, ma non sai dare un nome alle cose che custodisci. Tutti voi passate gran parte del vostro tempo a guardare lassù, meravigliati e ignoranti. Questa tavola dipinta d'azzurro abbraccia tutto il mondo. Cambia colore, muta aspetto e carattere. Proprio come noi tutti.

Si chiama cielo. C- I - E - L - O. Cielo, cielo e altre mille volte cielo."

Tutti i presenti muovevano le piccole labbra provando meraviglia di quell'incredibile suono.

Una parola piccola bastava davvero a dire il cielo?

Lo stregone restò ammutolito. Guardò il cielo come lo avesse appena scoperto e muovendo il labiale si sfiorò le labbra con mani tremanti. Cresceva lo stupore, ma al contempo la vergogna. Così, approfittando della folla distratta, uscì di scena, silenziosamente.

Il piccolo uomo col vestito rosso conquistò l'attenzione di tutti, e continuò:

"Le cose per cui vivete e combattete tutti i giorni, hanno un nome, una storia. Come ognuno di noi, le cose meritano una loro identità. Se così non fosse, come potremmo raccontare di esse ai nostri figli?"

Lo stupore divenne approvazione. La folla sollevò un coro rivolto al cielo, a seguire un caloroso applauso e un appello a quell'uomo curioso.

"Rivelati a noi, qual è il tuo nome, chi sei?".

"Mi chiamo conoscenza, e d'ora in avanti - giuro - vivrò con voi e per voi".

 

P.S. Nessuno seppe più nulla del vecchio stregone...

 

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