Forse ti amavo ad occhi negli occhi, ma bastava meno d’un metro perchè fossi lontano.
E in questo doppio sentire non mi abituavo all’incostanza, non alla mia, nè a sentirmi amata.
So riconoscere l’amore solo se mi schianta.
E nemmeno capivo che consistenza avesse il tuo amarmi, di che materia fosse fatto mi restava ignoto.
Con supponenza mi chiedevo se tu avessi amato mai davvero.
Ma i nostri corpi erano mappe sicure, precise nel dettaglio; nessun fremito andava sprecato, mandavamo a memoria ogni fiato, e c’ imparavamo, seppur già dalla prima volta ci fossimo riconosciuti.
Mai avrei rinunciato alle tue carezze. Che altro avevamo?
Conoscere il tuo cuore, quella sì, era impresa titanica: richiedeva pazienza, intuito sottile, domande che non volevo fare ma era il solo modo e, come il tempo, non bastava lo stesso. Che tempo non ce n’era.
M’ero illusa che a rilento sarei andata conoscendoti, perdonandoti la prudenza nel raccontarti, non la ritrosia.
Più m’indignava la tua prigione, più mi avvicinavo alle tue sbarre senza averne le chiavi.
T’immaginavo in quella casa a misurare una vita
Rassegnato a stare lì per sempre, chissà per quali promesse fatte un giorno.
Ma non chiedevo.
Più mi sentivo simile a te nella pazienza, più la tua bontà somigliava in presunzione alla mia
Eravamo entrambi in odore di resa, non certo di trionfo.
Il tuo amarmi ottuso mi confondeva, il tuo ottimismo mi spiazzava, la generosità del tuo corpo mi catturava e il tuo tacere mi innervosiva . Ma come acqua mi adattavo alle tue forme.
Pensavo che i tuoi silenzi celassero cose, ma forse semplicemente non avevi nulla da dirmi.
Piansi una volta, ad occhi chiusi, mentre ti abbracciavo, muta.
Tristezza e delusione quel giorno, una piccola cosa che nemmeno ricordo, ma la prevedibilità me l’aveva resa più odiosa.
Con le dita lisciasti a lungo la ruga che mi segnava la fronte, mi rasserenasti con tenerezza “guardami, apri gli occhi” mi chiedevi; io non volevo.
Come con un bimbo riuscisti a farmi ridere, a spezzare quel broncio .
Ma nel guardarti ti vidi controllare i minuti che ci restavano.
Non potevo sprecarne, ne avevamo nemmeno una manciata e ti costava cara.
Se con la prima delusione ho sentito di amarti, con la seconda ho smesso.
Serviva la disillusione a mutare un sentimento avaro quanto fertile.
Ho imparato che amarti non è saziarmi: è mancarsi .
E mi sono ritrovata.