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Si odiano senza ritegno. Ne hanno fatto una ragione di vita. Li incontro tutti i giorni tra le undici e mezzogiorno. Sempre la stessa strada: via Ornato. Unica eccezione il sabato e la domenica.
Li ho notati per la prima volta molti anni fa. Lui magro, molto anziano con jeans chiari che sembrano sempre gli stessi. Giubbotto di pelle nera che toglie in giugno per rimetterlo in ottobre. Una camicia scura indefinibile. Non ha collo. La testa è compressa tra le spalle che hanno un’assurda rigidità. Praticamente calvo con le rughe del viso che dichiarano la durezza del tempo passato. La bocca è socchiusa su un ghigno assurdo. Questo è Michele.
Lei ha qualche anno di meno. Non ha un capello bianco. Ha una figura longilinea. Solo le dimensioni elefantiache delle sue caviglie testimoniano una vita spesa a lavorare in piedi. Fronte bassa, sopracciglia spesse e scure. Occhi piccoli e ravvicinati. Bocca sottile. Dagli occhi e dalla bocca si propagano come onde concentriche delle rughe molto fitte. In quel volto sarebbe coerente un brutto naso. Invece è piccolo e liscio. Questa è Maria.
Quando camminano Michele è sempre un paio di metri avanti Maria. Poiché capisco il loro dialetto, lo sento imprecare contro di lei, colpevole di averlo ingannato e costretto a sposarla. Lei lo accusa di esser stato un fannullone e di non aver fatto nulla per comprare una casa per la vecchiaia. Non fanno mistero della loro acrimonia, anche nello studio del medico dove a volte li incontro. Quando entrano c’è sempre qualcuno che si alza e, senza nascondere l’insofferenza, se ne va.
Due anni fa ero solo nella sala d’attesa, quando è entrato Michele. Pochi secondi ed entra Maria. Immediatamente iniziano gli insulti. A voce bassa, quasi una preghiera. Non avevo voglia di ascoltarli. Li avevo sentiti già troppe volte per la strada e in altre attese.
<Perchè non avete divorziato?> dico con tutta la durezza che il fastidio di udirli mi procura.
Succede qualcosa. Si guardano e tacciono. Lei gli si avvicina. Quasi lo tocca. Lui fa un mezzo passo verso di me. Si sono trasfigurati: adesso sono un insieme. Poi, un po’ in dialetto, un po’ in italiano: <Naun, nan se fasce. Certe cose le fate solo voi, qui al nord!>
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