L’uomo dal berretto rosso sbucava ogni mattina, dal lunedì al venerdì, esattamente tre minuti prima delle otto, all’inizio di Corso Matteotti a Varese.

L’uomo dal berretto rosso si chiamava Claudio, aveva 58 anni ma ne dimostrava molti meno e, con passo rapido ed elastico, percorreva tutto lo storico corso cittadino fino al chiosco dei giornali dove ritirava coi buoni abbonamento una copia della Prealpina, il giornale locale, subito dopo ripercorreva in senso contrario un breve tratto di Corso Matteotti, poi svoltava a sinistra, attraversava il piccolo sacrario a galleria che ricordava i morti di tutte le guerre e sbucava in Piazza San Vittore, ne tagliava un angolo dirigendosi verso destra per entrare nello storico palazzo che ospitava la sede della grande banca dove lavorava con la qualifica di capo commesso, e provvedeva al suo primo compito della giornata, il secondo se consideriamo il ritiro della copia della Prealpina, cioè l’apertura dell’ingresso dipendenti.

 

Nelle mattine più nebbiose i commercianti del Corso vedevano da lontano solo il berretto rosso avanzare tra le brune, ma sulla sua apparizione un po’ spettrale potevano come sempre rimettere i loro orologi sulle 7.57, 7.59 se compivano l’operazione quando Claudio arrivava all’edicola o 8.00 se aspettavano che girasse nel sacrario, anzi in quel momento suonavano anche le campane della chiesa e la loro operazione aveva doppia conferma di esattezza.

Claudio però non era solo un capo commesso estremamente puntuale, era anche un atleta. Ottimo ciclista a 20 anni, poi podista, uomo da lunghe distanze e corsa in montagna. Ancora gareggiava quasi ogni week end nelle categorie master, qualche volta a piedi altre in bicicletta, mantenendo così anche alla sua età il passo rapido ed elastico che permetteva al berretto rosso di spostarsi tanto velocemente nella nebbia.

 

La mattina in cui lo stiamo seguendo dal nostro osservatorio letterario cadeva di venerdì, era fine inverno e c’era una nebbia record anche per Varese. Il berretto avanzava comunque senza deviazioni e senza rallentamenti lungo l’itinerario che seguiva invariabilmente da trentacinque anni.

Il giornalaio salutò Claudio come ogni mattina e gli tese la copia fresca di stampa della Prealpina in cambio del buono e subito dopo verificò l’ora: le 7.59. Nel frattempo il berretto rosso aveva ripreso la strada, l’edicolante lo seguì con lo sguardo fino a che non svoltò nella galleria del sacrario e le campane della chiesa iniziarono a battere le otto, poi non poté più vederlo e tornò al suo lavoro.

 

Il lunedì seguente l’uomo dal berretto rosso non sbucò all’inizio di Corso Matteotti. Non comparve nemmeno martedì, né mercoledì. Non comparve più.

Claudio era stato esodato, che non significa che era partito per un viaggio nello spazio e nel tempo per unirsi a Mosè e agli ebrei nella loro fuga dall’Egitto, ma che era stato posto a riposo con qualche anno di anticipo sui tempi normali della pensione dalla grande banca per cui lavorava a causa di una riduzione di personale.

Dunque ora era un uomo libero, con un lauto assegno che l’avrebbe accompagnato ogni mese fino alla maturazione del diritto alla pensione.

 

Claudio si dedicò alle sue passioni. Il berretto rosso ora si poteva vedere ogni mattina attraversare la nebbia in sella a una bicicletta, o più semplicemente sopra due scarpette da podista, lungo i sentieri poco battuti che costeggiavano il Lago di Varese, o su quelli più ripidi che salivano al Sacro Monte e al Campo dei Fiori, la montagna di Varese.

 

Sua moglie era preoccupata:

- Claudio ti alleni troppo. Sempre correre e pedalare, pedalare e correre. Ti scoppierà il cuore! Non sei più un ragazzo! Quando mai ti hanno esodato… prima potevi allenarti due, tre volte la settimana, ora…tutti i giorni, la mattina, il pomeriggio…-

Lui la abbracciava, le diceva che aveva ragione, si calmava due giorni, poi ricominciava. Non poteva farne a meno.

 

Arrivarono i sessant’anni, e con essi la decisione di provare a compiere ancora una grande impresa: portare a termine la grande corsa dei ghiacci: la 150 chilometri invernale di Rovaniemi.

Si preparò a puntino per mesi e una fredda mattina di febbraio all’aeroporto della Malpensa, salì su un aereo e atterrò in Finlandia, recuperò il berretto rosso dalla sacca, se lo mise e con il treno raggiunse Rovaniemi. Tre giorni di ambientamento e venne il momento di partire. Berretto rosso ben calato in testa e via, alle nove della mattina con un manipolo di coraggiosi tutti più giovani di lui.

 

Lo videro l’ultima volta al controllo del chilometro 115,8 dove si presentò con un buon tempo in relazione all’età e da dove ripartì subito.

I cronometristi di allora ricordano ancora il suo berretto rosso allontanarsi tra ghiacci con passi elastici e regolari. Tutt’oggi molti lapponi raccontano la sera ai bivacchi ai più giovani tra loro di aver visto apparire in lontananza nelle mattine più fredde e nebbiose alle 7.57 in punto l’immagine segaligna del fantasma del varesino con in testa il berretto rosso e di aver seguito quel punto di colore per qualche attimo prima che sparisse tra le nebbie delle pianure gelate mentre le campane della Torre Civica di Rovaniemi battevano le otto.

 

E la stessa storia narrano ai nipoti i più vecchi tra i commercianti varesini, la vicenda di un berretto rosso che calato sulla testa di un’immagine di luce fioca appare solo nelle mattine più nebbiose alle 7.57 in punto all’inizio di Corso Matteotti e lo percorre tutto per sparire dentro la galleria sacrario mentre le campane battono le otto.

 

Podisti e ciclisti invece lo vedono correre e pedalare, pedalare e correre lungo i sentieri meno battuti del Lago di Varese e del Campo dei Fiori. Sono passati molti anni, forse il fantasma di luce non è mai esistito, forse anche Claudio e il suo berretto rosso sono una leggenda, di certo c’è che da qualche parte, corrono insieme nella nebbia e continueranno a farlo per sempre.

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