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Sarei da arresto di sicuro o per lo meno da super multa per doppia infrazione. È scritto in tutte le lingue: Vietato sporgersi e Non gettare oggetti dal finestrino. Bene, io l'ho fatto e l'oggetto ha un certo peso, può far male se arriva addosso a qualcuno. Beh, preferirei che si sfracellasse al suolo in mille pezzi con tutti i microchips che saltano via come micromolle. Immagine figurata e poetica per un laptop gettato da un treno in corsa! I miei figli me lo regalarono qualche Natale fa. Rivedo lo sguardo un po' incredulo dei loro occhi e una certa cautela nel porgermi il pacco pesante con il nastro rosso. Ricordo l'imballaggio che volava via e la mia delusione scoprendo, alla fine, il blocco di metallo apribile con sopra il disegno di una mela. Però poi imparai ad usarlo nella stupida e stupìta incredulità di figli e nipoti: ci cercavo in Wikipedia le risposte alle definizioni difficili delle parole crociate, consultavo gli orari delle mostre di pittura al museo del centro e alla fine divenni così esperto da utilizzarlo per i pagamenti delle bollette. Tutte cose che avrei potuto fare anche senza. E adesso via, ne faccio veramente a meno. Non mi ha visto nessuno durante il lancio. Questo treno è deserto, l'ho scelto apposta. E' un treno locale, fa tutte le fermate. Viaggia, non corre. E chiaramente non ci sale nessuno: i lavoratori hanno fretta, gli studenti sono sempre in ritardo, i pensionati e le casalinghe sono sulle panchine al parco o al mercato. La vita è altrove mentre io viaggio verso il mare, ed è quello che desidero. Ogni viaggio è la meta e ogni stazione un passo avanti. La mia intenzione è viaggiare leggero, sempre più leggero... Amundsen, Lindbergh, i grandi esploratori , i miei eroi da giovane, mi capirebbero. La spogliazione, processo laborioso, è già iniziata da una settimana: domenica ho fatto il segno della croce alla benedizione del Papa e poi ho staccato la spina della televisione. Silenzio. Solo il rumore del mio affanno nel tirarmi su dalla presa per terra. Un'ora dopo era già passato il portinaio a portare via la carcassa. Non sono mai stato una di quelle persone che la mattina appena si alzano o appena rientrano a casa accendono la tv e magari la tengono accesa tutto il giorno solo per sentire in sottofondo un chiacchiericcio o una musichetta e illudersi così di non essere solo. Io ricerco la solitudine. Amo solo i rumori veri: il vento tra le foglie, le onde sugli scogli, il garrire delle rondini in volo intorno al campanile della chiesa... Da ora è finita anche con le notizie lette dalla signorina scollata di turno. Compro il giornale e poi riciclo la carta. Se ho voglia di sentire la voce di qualcuno vado dal mio amico Alfonso e se mi mancano i pareri più autorevoli sulla politica decido di tagliarmi i capelli dal barbiere. Poi è stato il turno del microonde, per la verità già da un bel po' di tempo diventato stipetto per gli avanzi di pane da dare alle tartarughe in giardino. E via così, verso il necessario e l'indispensabile desiderio di esistere. Esistere nel vuoto, per essere riempiti e svuotati in un moto circolare e ritmico solo dal respiro e dalla pulsazione. Il treno arriva all'ultima stazione e scendo i gradini del vagone uno alla volta. E' quasi un rito, una cerimonia. Non suona la banda, ma i gabbiani urlano nell'aria e sento, sento il mare. Prendo forza nelle vecchie giunture e muovo le braccia nel cammino veloce. Supero le quattro case del paese e imbocco una stradina lastricata di ghiaia. La sabbia portata dal vento vi si alza in basse montagnole ai bordi e copre i ciottoli e i rari ciuffi d'erba. In riva al mare, in piedi, raddrizzo le spalle e inalo. Scalzo, affondo e radico i piedi nella sabbia. Mi sento una roccia. Poi apro il grimoire e recito le parole magiche “Via da me” e il telefono cellulare va a planare sul bagnasciuga contro un grande tronco secco e bianco di sale. L'avevo odiato da subito, mi aveva incatenato al tempo e allo spazio, a tutti quelli che volevano sapere dov'ero, com'ero e perché. Il suo campo elettromagnetico si sgretola nei frammenti di cristalli e plastica dura. Ora sento un po' la stanchezza: appoggio la schiena al legno dell'albero morto e mi lascio andare giù. So cosa devo fare. Cerco nella tasca il temperino e incido la pelle sotto la clavicola, là dove sento duro. Non fa male, esce poco sangue, un piccolo rigagnolo, ed ecco lo scatolino. Lo afferro e tiro. Tiro e allungo il braccio quanto il cordino che esce. Mi viene da ridere: se io fossi un aquilone e il mio pacemaker il filo? Sì, adesso sono libero. Libero di vivere o di morire, come vuole il mio cuore. Il battito rallenta, il sangue si coagula, mentre guardo il mare.
Piccola stella, 16 April 2024
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Utente Anonimo
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Morte di un amico Il vero amico è una persona rara, è il tuo riflesso nello specchio. é sempre lì che ti guarda e risponde alle tue provocazioni con altre uguali, senza uscire, tuttavia, mai fuori dalle righe. Un amico è quello che, quando lo vai a prendere a casa per uscire, lo trovi sempre [...]
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«Sei ebrea?» Angela non rispose e rimase a fissare un punto indefinito del pavimento di quel rifugio, una piccola casa composta da una stanza scarsamente arredata. Uno strano silenzio regnò incontrastato per alcuni istanti poi spezzato dai bombardamenti sempre più vicini. Horst Kleine, capitano [...]
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