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Accadeva alle 8.43 di un sabato mattina.
È una di quelle storie che difficilmente si lasciano raccontare perché passano inosservate, che affogano l'attimo nel vocìo urbano e che sbattono di fronte ad un cappello con pochi nichelini.
Storia breve, forse brevissima.
Il tempo di una fermata di metro, due minuti e un grappolo di secondi, e poi, a Cadorna, me ne sarei andato per sempre.
Il tempo di un attimo che sarebbe diventato ricordo indelebile di poesia metropolitana, come un saltello di Armstrong o un canestro vincente last second di M.J.
Era un'autentica storia metropolitana e come tale sarebbe diventata leggenda.
Leggenda come chi la interpretava, l'artista, il bohemien. Colui che delle polveri della city faceva palcoscenico e di un sorriso sconosciuto un caloroso applauso.
Accadeva nel ventre cittadino, solleticato dall'archetto di una balalajka improvvisata.
La storia di un violino che probabilmente aveva molto di più da raccontare, ma che la sinfonia aveva voluto censurare e lasciava agli spettatori una piccola speranza d'immaginazione e contatto, fugace e un po' amara, come una donna dagli occhi abbassati, pronta a separarsi la fermata successiva, a scendere senza voltarsi e da ballerina incantevole lasciare il suo carillon.
Accadeva un sabato mattina, come tanti.
Accadeva una storia breve e di vita, come poche.
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